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QUALITÀ E PROFESSIONE 27
Claudia Radicchi, psicologa. Attualmente borsista presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Azienda Ospedialiero-Universitaria Pisana, svolge l’attività presso l’ambulatorio
per i disturbi cognitivi (U.O. Neurologia). Ha collaborato in qualità di docente all’interno di
un percorso formativo organizzato per gli operatori dell’Area Medica della ASL 1 di Massa-Carrara.
C. RADICCHI, C. PAGNI1, S. CINTOLI2, G. TOGNONI3
Il museo come terapia: l’esperienza pisana di un percorso museale nella demenza
1 Cristina Pagni, psicologa, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, U.O. Neurologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana.
2 Simona Cintoli, psicologa, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, U.O. Neurologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana.
3 Gloria Tognoni, neurologa, responsabile dell’ambulatorio per i disturbi cognitivi, U.O. Neurologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana.
La malattia di Alzheimer è un processo neu- rodegenerativo che determina un progressivo e globale declino delle funzioni cognitive e delle abilità sociali e relazionali. L’esordio è subdo- lo e insidioso, caratterizzato dalla comparsa di disturbi cognitivi, cui si associano disordini comportamentali e psichici che influenzano duramente la sfera sociale, diventando la causa primaria di stress in coloro che si prendono cura del malato. L’Alzheimer è, infatti, una malattia “familiare”, dato il forte coinvolgimento delle famiglie nella presa in carico dei pazienti.
Da un punto di vista terapeutico, i farmaci esistenti hanno una funzione prevalentemente sintomatica, volta alla riduzione delle manifesta- zioni cliniche della malattia, capacità che tende a ridursi durante la progressione del disturbo. Per tale ragione, negli ultimi anni, hanno assun- to sempre maggiore importanza le terapie non farmacologiche. Si tratta di interventi di stimo- lazione cognitiva, funzionale ed emozionale, caratterizzati dal coinvolgimento attivo della persona, che agiscono nell’ottica del manteni- mento delle risorse ancora fruibili, miglioran- do lo stato funzionale e comportamentale del paziente e alleggerendo il carico gestionale ed emotivo in chi se ne prende cura. Sebbene ad oggi esistano pochi studi randomizzati che in- daghino la validità di tali tecniche, la letteratura ne supporta comunque l’efficacia nel ridurre il progressivo declino cognitivo, nel migliorare il tono dell’umore e la qualità di vita di pazienti e familiari (caregivers).
In questo contesto si inseriscono i percorsi museali, nati in via sperimentale con il progetto “Meet me at MOMA”, presso il Museo di Arte Moderna (MOMA) di New York, con l’obiettivo di rendere l’arte accessibile a persone con Ma- lattia di Alzheimer e ai loro caregivers. In segui- to ai progetti avviati presso Palazzo Strozzi e il Museo Marino Marini di Firenze, con il contri- buto della Regione Toscana, durante l’ultimo anno tali attività sono approdate anche a Pisa, grazie alla collaborazione tra il sistema museale dell’Università, l’U.O. Neurologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana e l’Associazio-
ne Italiana Malattia di Alzheimer (AIMA), con lo scopo generale di dare alla persona malata la possibilità di esprimersi attraverso l’arte, ricor- rendo all’immaginazione e alla creatività e di ve- dere ascoltate le proprie emozioni più profonde.
I destinatari dei percorsi sono pazienti con demenza accompagnati dai rispettivi familiari. Gli obiettivi sono molteplici: per i malati riguar- dano il mantenimento delle capacità cognitive e delle funzioni senso-motorie, l’aumento del benessere psicosociale, contenendo l’esacerba- zione dei disturbi comportamentali e neuropsi- chiatrici, la possibilità di vedere rivalutato il pro- prio ruolo sociale mediante la libera espressione delle proprie opinioni, emozioni e sentimenti, in un contesto non giudicante, pronto all’ascolto e all’accoglienza. Per i caregivers il percorso mu- seale si configura come un programma utile per potenziare la relazione con il proprio congiunto, per migliorare la conoscenza e, di conseguen- za, l’accettazione della malattia, per creare re- ti di solidarietà tra famiglie, favorendo l’uscita dall’isolamento che spesso contraddistingue il contesto della demenza, con conseguente mi- glioramento della qualità della vita.
Le attività proposte si ispirano alla Valida- tion Therapy, approccio relazionale proposto da Noemi Feil (1967), che utilizza l’empatia per en- trare in sintonia con la realtà interiore delle per- sone con demenza. Questo permette al malato di recuperare l’autostima, di sentirsi valorizzato e aiuta il caregiver a riscoprire nuove possibilità comunicative, fatte di gesti, suoni ed espressio- ni facciali, a discapito della diminuita capacità linguistica che spesso caratterizza la demenza. L’articolazione degli incontri prevede la visita in una sezione del museo dove i partecipanti, os- servando le opere esposte, possono esprimere opinioni e rievocare episodi del loro passato. In seguito, seduti intorno ad una delle opere, pos- sono creare una poesia o una storia di fantasia attraverso l’osservazione condivisa, guidata da una serie di domande mirate, secondo la tecnica TimeSlips, elaborata dalla ricercatrice Anne Ba- sting (1998). Mediante tale tecnica i malati eser- citano immaginazione e creatività, abilità che si
Toscana Medica 2|2016

