Toscana Medica -Agosto-Settembre-2019
8/2019 T OSCANA M EDICA 10 testatina quali à e professione Ultime osservazioni • L’Ordine di Firenze e l’ufficio lega- le dell’INPS hanno prodotto, 3 anni fa, una locandina esplicativa che dovrebbe esser appesa in tutti gli ospedali e ambulatori pubblici, per eliminare le incertezze. L’INPS na- zionale, a seguito, ha fatto un analo- go documento (vedi Figura 1 e link: https://www.inps.it/docallegatiNP/ Mig/Allegati/Certificazione_malat- tia_visite_mediche_controllo_lavo- ratori_privati_pubblici.pdf). • Il rifiuto è atto deontologicamen- te inammissibile, verso i pazienti e verso i colleghi (vedi Art. 24 del Codice Deontologico, è un illecito disciplinare (D.L. 30 marzo 2001, n. 165), sanzionabile anche con il licenziamento o con la perdita del- la convenzione. • Spesso si vedono certificazioni car- tacee che soddisfano i requisiti, ma molti colleghi compilatori, pur omissivi, in buona fede non sanno di aver già prodotto un documento valido e invitano gli assistiti a re- carsi dal proprio medico di fami- glia per farsi “tradurre” il tutto in “telematico”. Quando si spiega al paziente l’inutilità e non fattibilità della procedura e questi, convinto, applica quanto chiarito, avviene talvolta la beffa, in quanto zelan- ti impiegati dell’INPS assicurano che sono accettati solo certificati telematici! A questo punto si deve segnalare non solo il collega ina- dempiente ma anche l’impiegato impreparato! (fatto già segnalato all’ufficio legale dell’INPS). • La certificazione cartacea deve ri- portare i dati in forma sintetica e chiara. È importante che la progno- si sia esplicitata come lavorativa, da distinguersi dalla clinica, che non implica analoga inidoneità al lavoro. • I medici privati possono e devo- no certificare e lo possono fare su cartaceo. Eccezione, per i dipen- denti pubblici (siamo italici), il 3° evento di malattia nell’anno (che non significa 3° certificato) o le as- senze che si protraggano oltre i 10 gg. (che le amministrazioni spesso interpretano come dal 10° giorno di malattia nell’anno) (comma 2 una certificazione da collegarsi alla storia precedente (nota solo la dia- gnosi iniziale) e in condizioni evo- lutive. Per certificarla, il medico di famiglia chiede tempo fino al gior- no dopo per studiare i documenti e la telematicità delle opzioni ag- giuntive, nel contempo lamentan- do l’omissione di chi l’aveva segui- ta fino a quel momento. Alla sera, chiariti i punti importanti, invia alla donna, per evitarle ansie aggiun- tive, una mail ricordandole che il giorno dopo, come concordato, si sarebbero incontrati, col coniuge, per non affaticarla, per formalizza- re e inviare il documento. Il giorno successivo, non vedendo alcuno in studio, il medico telefona e il ma- rito gli dice che ha già risolto e che ha cambiato medico. Mesi dopo, l’Ordine gli comunica un esposto della sorella della paziente, collega oncologa, che lamenta il comporta- mento disumano, chiedendo san- zioni per la manifesta insensibilità. Conclusioni: 1) si è compromesso un rapporto che in quella fase ter- minale avrebbe potuto esprimer- si al meglio, a pro dell’assistita; 2) la sorella oncologa, così attenta al rapporto umano, evidentemente non certifica mai. Un punto trascurato e altrettanto de- licato sono i rapporti tra colleghi: di fronte alla negazione o all’omissione, quali considerazioni vengono sottese? Implicitamente il rifiuto/omissione riconosce al primo sanitario una su- periore dignità medica che non può confrontarsi con la burocrazia, men- tre il medico di famiglia è un medico di serie B il cui tempo può essere sot- tratto a diagnosi, ascolto, cura. Il medico che afferma di poter at- testare solo la presenza per le pro- cedure espletate afferma in pratica di non essere in grado di valutare gli effetti delle proprie azioni sulla sa- lute generale dell’assistito. È credi- bile o ammissibile in chi espleta un atto medico? In un momento di crisi della medicina, di recupero dell’at- tenzione alla persona, prassi norma- le nel territorio, e non più alla ma- lattia o al solo atto medico, questo atteggiamento è perdente, per tutti. • Non possiamo farlo perché è ancora coperto dal precedente (motivazio- ne palesemente pretestuosa se la nuova prognosi supera la vecchia). • Noi attestiamo solo la presenza per l’esame (parliamo di procedu- re invasive o con sedazione). Tal- volta il paziente si sente dire tutto questo da infermieri o altri e non parla nemmeno col medico. I col- leghi equivocano in questo caso il giustificativo per un permesso con l’eventuale non idoneità al lavoro in conseguenza delle condizioni cliniche pre e post esame. • Noi (sic!) non possiamo farli (ma se potessimo…). • Non possiamo certificare più di… (a scelta!) giorni, allora deve anda- re dal suo medico. • Non glielo faccio per rispetto del suo medico… Quali sono gli effetti di tutto questo? Pensiamo al paziente in dimissione o dopo una prestazione invasiva, che, di persona oppure attraverso i fami- liari, deve andare a cercare il pro- prio medico, aggiungendo disagio e stress , magari con una diagnosi pe- sante sul capo. L’omissione in questi casi sembra una gratuita persecuzio- ne aggiuntiva. Non solo, talvolta insorgono proble- mi o ritardi (il venerdì, i giorni pre- festivi o festivi) che espongono il la- voratore a perdite economiche . Pensiamo anche al medico , che talvolta si trova un impegno senza però elementi conoscitivi essenziali, perché la documentazione è scarsa o assente, e che impiega più a rico- struire una situazione che a fare una diagnosi ex novo , a fronte di un atto che al vero responsabile costerebbe 2-3 minuti. Il contatto, poi, in alcuni casi avviene ad ambulatori conclusi, magari alla sera e con un giorno di ritardo, e così ci scappa anche una visita domiciliare per la verifica delle effettive condizioni dell’assistito che non può più recarsi in studio. Gli effetti sono spesso parados- sali, una storia vera per tutte: una paziente, seguita dall’oncologia e della quale il medico di medici- na generale non aveva più notizie da mesi, giunge una sera per fare
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