Toscana Medica -Novembre-Dicembre2019

10/2019 T OSCANA M EDICA 26 Pubblichiamo il ricordo del prof. Graev e le parole pronunciate dalla figlia alla cerimonia funebre In ricordo di Mario Graev Il prof. Mario Graev era nato a Firenze il 18 novembre 1925. Sua madre lo abbandonò all’età di due giorni e lo affidò per l’allattamento mercenario a una poverissima donna di campagna, lo abbandonò materialmente ma non economicamente. Nel 1929 lo abbandonò definitivamente. Di lei e del padre non si è saputo più niente. Visse in questa povera famiglia nelle ristrettezze materiali e spirituali. La gente del vicinato diceva che lui era il figlio di nessuno. All’età di 13 anni fu accolto nell’orfanotrofio Madonnina del Grappa fondato da Don Giulio Facibeni che gli fu veramente padre e maestro. Si laureò in Medicina e Chirurgia. Intraprese la carriera universitaria e dopo 4 anni era già libero docente di Anatomia e Istologia Patologica e dopo altri due anni libero docente di Medicina Legale e delle Assicurazioni. Vinse il concorso di professore ordinario di Medicina Legale chiesto dalla Facoltà di Giurisprudenza di Macerata. Insegnò Medicina Legale, oltre che nella Facoltà di Giurisprudenza di Macerata, anche nella Facoltà di Medicina dell’Università degli Studi di Ferrara, e finalmente fu chiamato dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia di Firenze. Insegnò Medicina Legale nella cattedra prestigiosa dove avevano insegnato i grandi maestri della Medicina Legale italiana: il Filippi, il Borri e il Leoncini. È stato autore di circa 150 pubblicazioni. Che dire? Tu avresti cominciato così Ripenso alla tua storia di bambino, tu che sei nato più nudo di ogni altro bambino. Storia di sofferenza, con la voglia di uscire da quella nudità profonda con tenacia e caparbietà. Dall’iniziale desiderio di diventare un maestro sei diventato quello che sei diventato. Certo per molto tempo non ci siamo capiti Mi è però bastato uscire dal ruolo di figlia ed entrare in quello nascosto di madre che tutto si è acquietato, l’abbandono sanato, la serenità dispiegata. Sciolta la paura di amare così evidente in te. Tanto evidente la tua paura nell’evitare qualsiasi contatto fisico, un abbraccio, un bacio. Con Niccolò dovevamo farti gli agguati per darti un bacino. Nel tuo gesto caratteristico, il braccio teso e roteante, ci scacciavi, ma in fondo sorridevi, anche se non ci eravamo lavati le mani! Mi hai insegnato il silenzio e la solitudine, la loro semplicità. Sono qui a ringraziarti del tuo innato modo di essere nobile. il tuo misterioso modo di non fare pesare la tua scienza. Del tuo profondo amore per gli altri. Della tua generosità verso il prossimo, il tuo saperlo ascoltare. Quel tuo grande senso di fratellanza che unisce tutti i figli del Padre. Mi hai insegnato l’amore per le piante, il tuo attaccamento per l’orto, che è sempre stato per te il grande senso della vita, conquistato con sudore e fatica, la soddisfazione di poterne cogliere i frutti. Negli ultimi anni la continua e intensa gioia nell’osservare il giardino, la gioia di vedere l’upupa o la cincia che venivano a trovarci, il dispiacere nello scoprire che non c’erano più le farfalle, o mettere noci allo scoiattolo per farlo tornare. Coltivare ciò che nasce spontaneo. Osservare i tuoi pensieri che seguivano ipnotici il continuo itinerare del robottino tagliaerba. Sono stati questi ultimi anni di solitudine, la tua, la mia, e in qualche modo ci siamo fatti compagnia.

RkJQdWJsaXNoZXIy NTA4Njg=