Toscana Medica | Aprile-Maggio 2020

4 / 2020 T OSCANA M EDICA 10 testatina l ttere Sono una nefrologa dell’ospedale di Livorno. Lavoro in ospedale or- mai da 15 anni, la maggior parte dei quali proprio nell’ospedale di Li- vorno che ormai è un po’ casa mia. Conosco tutti e quasi tutti ormai co- noscono me, anche se molti ancora mi chiamano “signorina”, e, ohimè, nemmeno più signorina ma “signo- ra”, perché il tempo passa per il mio aspetto, ma non per i pregiudizi cul- turali. Scrivo questa lettera a titolo personale ma sapendo che parlo a nome di molti medici e infermieri. Smettetela di chiamarci eroi. Smet- tetela di ringraziarci. Smettetela con i cartelli fuori dell’ospedale per noi. Smettetela con le iniziative ver- gognose e umilianti di chiederci di farci le foto in servizio con l’ hashtag #CiPrendiamoCuraDiVoi. Noi siamo sempre gli stessi. Siamo quelli che fino a due mesi fa avete assalito, offeso, aggredito, umiliato. Siamo sempre i soliti che ci faccia- mo in quattro. Lo abbiamo fatto fino a ora: quando un collega si ammala copriamo il suo turno, se se ne am- malano due ne copriamo due, se se ne ammalano tre ne copriamo tre, senza straordinari, con le ore in più che ci tagliano ogni 4 mesi; siamo quelli che veniamo a lavorare ma- lati, ingessati. Gli infermieri fanno notti consecutive senza recuperare. Sapete cosa vuol dire passare una notte intera in piedi? Spesso con ricoveri, urgenze, ma anche se una notte è tranquilla (che tranquille tranquille non sono mai). Sapete cosa significa vivere tra i puzzi, tra la diarrea, nel vomito, tra le urla degli anziani che in ospedale si disorien- tano? Immaginatevene due di segui- to. Da noi gli infermieri lo fanno se un collega è malato. Non abbiamo sabati sera, domeniche, feste, pon- ti. Non ci possiamo sognare mai di unire due festività. Devi baciare per terra se te ne tocca una. Veniamo in reperibilità, svegliati alle tre, alle quattro di notte, da sempre, senza mai fiatare, magari perché tizio è stato a una festa e ha esagerato e va dializzato d’urgenza. Non stacchia- mo mai. Ci telefoniamo sempre a casa fra colleghi: “avrò fatto bene? Mi sono dimenticato di vedere gli esami di tizio… controlla a che ve- locità ho messo questa flebo, c’era casino magari ho sbagliato”. Ci te- lefoniamo, ci messaggiamo quando dovremmo stare tranquilli a casa con i nostri cari che, sapete, abbia- mo anche noi. E anche loro si am- malano, anche loro muoiono. Anche noi ci separiamo. E noi continuiamo a venire a curarvi, a sentire i vostri sfoghi, a vedere le miserie umane e le bellezze umane, ogni giorno. E quindi sì, anche noi sbagliamo. Sì, sbagliamo. Con una piccola dif- ferenza: che non possiamo permet- tercelo. Mai. E se lo facciamo (ma spesso anche se non lo facciamo) ci denunciate. Siamo gli stessi che aggredite quan- do la mamma di 96 anni muore, e spesso ci fate causa, come se le per- sone non dovessero mai morire. Siamo gli stessi che offendete in am- bulatorio urlando perché non pos- siamo assicurarvi una visita in tempi brevi, come se fosse colpa nostra e non di chi l’intero popolo vota e ac- cetta da sempre come pecore. Siamo gli stessi che offendete per- ché il parente non reagisce a una terapia o perché ha sanguinato dopo un intervento o perché respira male magari dopo che ha fumato 40 siga- rette al giorno per 40 anni. Siamo gli stessi che aggredite in pronto soccorso dove andate anche solo perché vi s’è scheggiata un’un- ghia e pretendete tempi rapidi e soccorsi impeccabili, e soprattutto gratuiti. Siamo gli stessi che minacciate IN CONTINUAZIONE di denunciare. Siamo gli stessi che denunciate in continuazione. Siamo quelli a cui scaricate i vostri genitori anziani perché non vanno d’intestino e fate pagare alla comu- nità migliaia di euro di un ricovero perché col cavolo che pagate 30 euro un infermiere per fare un clistere a casa, perché voi avete diritto. Tutti hanno sempre diritto. Diritto a non pagare mai un euro di più, diritto a non aspettare, diritto a essere visti sempre dallo stesso medico, diritto ad avere infermieri perfetti, medici perfetti mai adirati, mai stanchi, non solo bravi ma anche gentili. Siamo quelli di cui non vi fidate per- ché su internet c’è scritta un’altra cosa. È vero, la mia categoria è a volte in- difendibile. Ci sono gli avidi, i me- nefreghisti, i boriosi. Ma non sono tutti così. Lo zoccolo duro della categoria NON È COSÌ. La mag- gior parte dei medici che lavorano lo fanno per missione. Lo facciamo perché lo abbiamo scelto, perché ci piace la medicina, perché ci piace aiutare. Quelli sono i medici. Gli altri sono le mele marce come ne esistono in tutti i lavori, nessuno escluso. Eppure ci avete tolto tutto, ci avete tolto i sussidi, le forze, il rispetto, ma soprattutto ci avete tolto l’entusia- smo, la passione, la trasparenza. Ci avete reso stanchi, cinici, abbrutiti. Certo è stata la politica, le nostre classi dirigenti, le nostre ineffabili direzioni, ma siete anche voi uten- za. Perché tutto alla fine poi passa di lì. Quello scambio finale, quello tra medico e paziente è quello che alla fine ti fa ridere o piangere. Per cui non chiamateci eroi per fa- vore. Perché noi non siamo cambiati. Noi siamo gli stessi di due mesi fa. Siete voi che negli anni siete cambiati. da la Repubblica, 20 marzo 2020 Valentina Batini Nefrologa, Livorno Smettetela di chiamarci eroi

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