Toscana Medica | Aprile-Maggio 2020

4/2020 T OSCANA M EDICA 24 testatina quali à e professione demia cui stiamo assistendo atto- niti richiede e richiederà una ra- dicale riconversione delle logiche economiche del mondo contem- poraneo. Quanto al “fuoco”, appare evi- dente come non si tratti solo di approntare risposte cliniche e farmacologiche, ma di combat- tere seriamente quel gravissimo deterioramento ambientale alle origini dei devastanti effetti di questo virus, e forse della sua stessa genesi. Naturalmente, il grande tema dell’oggi è quello della “forca”, che non pochi tendono a invoca- re come “estremo rimedio” all’in- disciplina sociale; e che, per altro verso, molti temono come l’esito autoritario di un governo dello stato di eccezione. Anche qui conviene dare uno sguardo al passato. L’epidemia di peste di Marsi- glia, nel 1720, fu circoscritta in quell’area, ma schierando il 40% dell’esercito francese in un asse- dio crudele; l’ultima epidemia sul suolo italiano, a Noja (Bari) nel 1815-16, fu “curata” con un asse- dio e con la fucilazione di alcuni poveretti che non avevano rispet- tato le norme. La cittadinanza ne uscì ferita e profondamente mu- tata. Cambiò perfino nome: oggi è Noicàttaro. Anche la peste manzoniana (1630) fu affrontata in modi diversi. A Milano le norme furono applicate con cieca rigidità; i presunti unto- ri, furono torturati e giustiziati alla Colonna Infame, ma nel contem- po affollate e ripetute processioni indette dal Cardinale – contro il parere di molti medici – esacerba- rono il contagio. In quella stessa epidemia, a Fi- renze i provvedimenti di sanità furono oggetto di controllo, sen- za tuttavia applicare pene quan- do si riconosceva che l’infrazione era motivata da reali necessità di lavoro e di assistenza. I presunti untori furono solo due, poi scagio- nati e anche risarciti per l’ingiu- sta detenzione. Le Confraternite svolsero un ruolo prezioso e l’Ar- civescovo, quando decise di indire una processione, con l’immagine della Madonna dell’Impruneta, lo fece con l’autorizzazione dell’Uf- ficio di Sanità, concordando che il pubblico avrebbe assistito al pas- saggio dell’immagine a 100 metri di distanza. Due approcci diversi con risul- tati diversi, espressione non solo di sistemi giuridici e di governo differenti, ma anche – si direbbe oggi– di una diversa robustezza della società civile e della sua par- tecipazione al governo cittadino. A Firenze l’epidemia fu molto più contenuta. Il modo con cui l’Italia sta affron- tando questa emergenza potrà forse affermarsi come un positivo modello di gestione democratica di una gravissima crisi sanitaria. Certamente è ancora presto per dirlo, molto dipende dagli esiti di questa vicenda, e forse tale giudi- zio potrà essere rivisto, rovesciato o magari rafforzato; ma intanto possiamo affermare che stiamo assistendo a una strategia che cer- ca di conciliare l’uso di strumenti legali (norme e regole, dotate di possibili sanzioni) e l’appello alla responsabilità individuale e alla solidarietà sociale. Difficilissimo equilibrio, in un Paese come l’Italia, dove la dota- zione di “spirito civico” scarseggia storicamente in molte parti men- tre e in altre si è venuta pericolo- samente depauperando. Eppure, è l’unico possibile equili- brio che possiamo oggi ricercare: restare dentro i confini di uno sta- to di diritto (ricordiamo l’art. 16 della Costituzione), ma non illu- dersi, nemmeno per un momento, che si possa ottenere il rispetto delle regole (in una società dove la potenziale mobilità individuale raggiunge vette impensabili anche solo 50 anni fa), senza la compar- tecipazione attiva e consapevole dei destinatari di quelle regole. La mera “legalità” non regge se non vi è “legittimazione”, ossia la convinta adesione. Una vicenda come quella che stia- mo vivendo non può essere gover- nata solo con una verticalizzazione del comando. La campagna ossessiva di de- nuncia degli “irresponsabili” non rende giustizia alla compostezza della grandissima maggioranza degli italiani; ma ciò non toglie legittimità alle possibili sanzioni, in difesa della più radicale delle libertà: la libertà dai rischi della malattia e della morte. E soprattutto, ha poco senso pre- occuparsi oggi del restringimen- to degli spazi di libertà privata, quando l’esercizio incontrollato di questa libertà – e questo è un dato certo – produce danni collettivi. Forse torna d’attualità un antico insegnamento del pensiero socia- lista: la libertà dell’individuo può vivere solo insieme alla libertà de- gli altri. da Il Manifesto, 25 marzo 2020 – https://ilmanifesto.it/oro-fuoco-e-forca- quel-che-la-storia-delle-pestilenze-ha- da-insegnare marco.geddes@gmail.com Giovanni Filippo Ingrassia.

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