Toscana Medica - Febbraio 2020

T OSCANA M EDICA 2 / 2020 15 testatina qualità e prof sio e sto nella legge sulle DAT un preciso inquadramento normativo di ciò che dovrebbe essere materia di infor- mazione al fine di ottenere un vali- do consenso al trattamento, non vi è dubbio che, anche per tali aspetti, la persona assistita dovrebbe avere conoscenza delle possibilità che i di- versi ambiti assistenziali prospettano, al fine di operare la sua libera scelta. Dall’informazione, in una parola, do- vrebbe discendere una scelta libera e consapevole da parte dell’assistito e non certo una firma inutile a sot- toscrivere un altrettanto inutile (anzi, disutile) atto. È indubbio, dunque, che l’informa- zione sull’esistenza di trattamenti alternativi a quelli che si è in grado di prospettare rappresenta un ob- bligo per il medico e un interesse specifico per l’assistito. Un inte- resse che riguarda non, si badi, le tecniche specifiche o la storia che possano avere alle spalle, quanto piuttosto la pura e semplice possi- bilità di ottenere benefici da speci- fici trattamenti, secondo quello che è il dettato della conoscenza medica scientifica. È su questa base, si pre- sume, che milioni di cittadini nel mondo ricorrono alle CAM e che ormai tali attività sono ricomprese fra le prestazioni assistenziali del SSN, posto che, diversamente, non si comprenderebbe come l’Assi- stenza pubblica, da un lato, potreb- be consentire il ricorso a pratiche non ritenute lecite o benefacenti e come, dall’altro, il ricorso alle CAM abbia un dimostrato andamento di crescita esponenziale. Alla luce di siffatte premesse, pe- raltro, occorre chiedersi come sia possibile che il medico fornisca in- formazioni su argomenti che non solo magari non condivide (il che potrebbe far ritenere che almeno li conosce), ma addirittura che com- pletamente ignora e a cui si oppo- ne esclusivamente per un malinteso senso fideistico. Il risultato, dunque, è che l’informazione è carente o la- cunosa e di conseguenza il consenso non può ritenersi valido. La responsabilità sanitaria per una struttura o per un medico che svol- stiche scientifiche delle CAM e ad- dirittura, non infrequentemente, si dichiara aprioristicamente contrario a ogni loro utilizzazione. Tale aspetto sembra rappresentare un elemento di peculiare valore ordi- nistico, nella misura in cui ci si viene a interrogare se l’Ordine Professio- nale, di cui è noto l’impegno istitu- zionale di aggiornamento in termini di formazione, controllo e verifica, non abbia come precipuo obbligo non solo quello di tutelare che le CAM siano praticate in modo conve- niente e rispettoso degli obblighi de- ontologici della categoria medica, ma anche di diffondere la conoscenza di tipologie di trattamento che non hanno fino a ora fatto parte del co- mune corredo culturale del medico e che oggi, invece, prepotentemente si pongono all’attenzione del professio- nista come dovere inerente il primo aspetto del rapporto contrattuale e cioè l’acquisizione del consenso in- formato, libero e valido. Delle linee guida sul dolore lom- bare già si è fatto cenno. I pro- blemi inerenti le cefalee e il loro trattamento sono noti, per quanto riguarda le difficoltà di approccio e i possibili effetti collaterali della terapia tradizionale. Sul piano strettamente medico-le- gale, dunque, quid iuris? potrebbe dirsi, per esempio, in termini di ipo- tesi di responsabilità professionale, a fronte di un trattamento magari prolungato con analgesici produtti- vo di una gastrite, in soggetto che non sia stato prima sottoposto a un trattamento di CAM di cui sia noto l’effetto antidolorifico, in presenza di rischio assai minore di danno? La vera alleanza terapeutica con la persona assistita e il perseguimento della sicurezza delle cure si fonda anzitutto sulla scelta condivisa di trattamenti dotati del miglior valore nell’ambito del rapporto fra rischio e beneficio e non di aprioristiche (con il rischio che divengano apodit- tiche) prese di posizione. Facendo anche riferimento alle re- centi disposizioni in materia di infor- mazione e consenso al trattamento sanitario che hanno, finalmente, vi- preso nel tempo di cura (Legge 22 dicembre 2017, n. 219). Illuminante sul piano esemplifica- tivo è l’emanazione delle linee gui- da del 2017 redatte dall’ American College of Physicians (ACP) aventi a oggetto i “trattamenti non farma- cologici per la lombalgia in fase acu- ta (< 4 settimane), subacuta (da 4 a 12 settimane) e cronica (> 12 set- timane) gestita nel contesto delle cure primarie”. Indirizzate ai medi- ci di medicina generale, definisco- no come “la terapia di prima linea dovrebbe prevedere le terapie non farmacologiche. Gli antinfiammato- ri non steroidei (FANS) e/o i miori- lassanti dovrebbero essere utilizzati quando l’approccio non farmacolo- gico è inefficace e viene scoraggiato in prima battuta l’uso di oppioidi”. Ciò che interessa, dunque, è che, prima di sottoporsi a CAM, l’assi- stito abbia un’idonea informazione sulle diverse, possibili, tipologie di trattamento al fine di potersi libe- ramente determinare a scegliere con consapevolezza. Il medico che adotta le CAM è perfettamente in grado di fornire un’informazione completa al proprio assistito; per formazione, infatti, conosce le basi della Medicina Tradizionale e gli ap- profondimenti che ha ulteriormente intrapreso lo rendono consapevole utilizzatore delle CAM. Semmai, deve guardarsi da erogare un’infor- mazione non completamente esau- stiva per l’assistito perché portato da un eccessivo amore nei confronti delle CAM a formularla trascuran- done il confronto con i trattamenti tradizionali. Ma se indubbiamente tale modello di informazione compete al medico che pratica le CAM, identico principio vale anche per il medico che normal- mente pratica trattamenti tradiziona- li, quando letteratura ed esperienza comprovino per le CAM una miglior valenza in termini di risultato per una determinata patologia o quan- tomeno, a parità di presupposti di risultato, le CAM risultino dotate di minor componente di rischio. Il medico tradizionale, tuttavia, assai spesso ignora il valore e le caratteri-

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