Toscana Medica - Giugno 2020

5/2020 T OSCANA M EDICA 44 testatina Con il termine giapponese karoshi si indica la morte per eccesso di lavoro e il Giappone è uno dei pochissimi Paesi che assegnano al fenomeno un valore statistico tra le cause di morte. A por- tare al decesso è principalmente un attacco cardiaco determinato da sforzo e/o stress . L’etica del lavoro nella cultu- ra nipponica comporta talora una vera e propria dipendenza da questo e non esclude il suicidio come epilogo di un fallimento nel campo. Tale mentalità rende l’Italia poco pa- ragonabile al Paese del Sol Levante relativamente al rischio in causa. Può però accadere che una pandemia, qual è la Covid-19, induca un surmenage irrinunciabile per le professioni sani- tarie di aiuto (OSS, infermieri, medi- ci), esposte a un sovraccarico fisico ed emotivo e alla tensione supplementare che il timore del contagio comporta. Alle nostre latitudini è il burnout il profilo della sofferenza cui si ricorre per descrivere lo sviluppo patologico che consegue a un accumulo stresso- geno. Vi sarebbero sottoposti princi- palmente quanti sono con regolarità impegnati nella gestione di rapporti interpersonali – senza dubbio le atti- vità di aiuto – riguardando nondimeno tutte le organizzazioni del lavoro. Certo è che trovarsi confrontati giorno per giorno con i problemi altrui richie- de una disposizione a occuparsene che nessun processo formativo è in grado di sostituire. In via precauzionale, il reclutamento all’interno delle profes- sioni di aiuto dovrebbe prendere in accurato esame il talento individuale nel settore e non dare per scontata la capacità di svolgere un simile compito, proprio per non trovarsi a fare i conti poi con cedimenti prevedibili, anche al di fuori di situazioni emergenziali. Sarebbe nondimeno salutare che coloro che rivestono compiti di responsabilità organizzativa fossero in grado di rico- noscere nei loro collaboratori la ridotta disposizione a svolgere quell’attività, quindi fossero autorizzati a denunciarla potrebbero avere una parte minoritaria rispetto alla mancanza di controllo sulle risorse necessarie e alla relativa autori- tà decisionale, rispetto al venir meno di un senso di equità, di appartenenza comunitaria e di condivisione dei valori all’interno dell’organizzazione lavora- tiva. Migliorie salariali, seppure utili a ridurre lo scarto tra l’importanza della funzione svolta e il suo riconoscimento, non sarebbero sufficienti senza le azioni appena rammentate. La coesione e la competenza dei gruppi che lavorano nell’emergenza e la spic- cata motivazione che discende dalla consapevolezza del rilievo del proprio compito per la stessa sopravvivenza dell’altro, la forza che al momento tiene in equilibrio una ballerina su un piede solo potrebbero cedere e degenerare in atteggiamenti negativi e nel peggio- ramento dello stato di salute di molti. Nessuno di noi vuole certo che dal burnout si passi al karoshi per chi opera attualmente nelle aree di cura intensiva. E dunque serve un pensie- ro autentico, che tragga spunto dalle pratiche, serve una competenza all’a- scolto delle problematiche di lavoro sanitario, maturare una convinzione e quindi passare a un’azione con- giunta alla quale partecipino quegli organi amministrativi chiamati, oggi come mai prima, ad assecondare, a facilitare e non a trattare con presun- tuosa discrezionalità le richieste dei competenti. da Quotidiano on line di informazione sanitaria, mercoledì 1 aprile 2020 reofoll e@gmail.com Il burnout da Coronavirus di Gemma Brandi Gemma Brandi Psichiatra Psicoanalista. Esperta di Salute Mentale applicata al Diritto. Coordinatrice della Commissione per l’Integrazione delle Medicine Complementari dell’OMCeO Firenze e a chiedere lo spostamento di quegli operatori ad altra mansione prima che le energie subiscano un logoramento e vadano letteralmente in fumo: burnout ossia “bruciato”. E invece tale ottica pro- tettiva è ben lungi, nella pratica, dal tro- vare posto tra i diritti/doveri delle ammi- nistrazioni del lavoro e degli assunti. Quando la sindrome da burnout pervie- ne a un rango sintomatico, con insonnia, cinismo, depressione e i suoi equivalen- ti, quale abuso di alcool e sostanze, pri- ma di giungere a epiloghi senza ritorno, tra i quali la morte, non solo professio- nale, è indispensabile intervenire. Il burnout che qui ci interessa ha del- le peculiarità: di essere di gruppo, più che individuale e frutto del maremoto che ha travolto un intero sistema. Pro- prio per questo è urgente individuare correttivi e dedicare un’attenzione alta alla sofferenza di chi si trova sulla linea di tracimazione. C’è da temere che l’onda abbia interessato quasi tutti i servizi, anche quelli dedicati alla Salute Mentale nello specifico e che quindi la risposta da mettere subito in piedi vada oltre il poco che quanti sono impegnati su fronti caldi hanno ora da offrire. Il suggerimento che mi sento di dare è di tenere sotto sorveglianza l’evoluzione di un disadattamento in fieri cui dare semmai il nome di iperadattamento del sistema delle cure intensive a standard tecnologici e organizzativi non occasio- nali e raffazzonati, come quelli con cui oggi si misurano operatori esposti al du- plice stress sopra indicato. Ascoltare le ragioni obiettive del per- sonale è il primo passaggio, farsi carico di ridurre gli ostacoli che incomprensi- bilmente gli operatori incontrano in un momento in cui tutti dovrebbero aiutar- li è il passaggio immediatamente suc- cessivo. Senza questa premessa sarebbe vano sottoporli a un test di misurazione del livello di burnout , quale la scala di Maslach, considerato che si avrebbe a che fare con un burnout reattivo a cause ben note, prevedibili ed evitabili, in cui il sovraccarico e il senso di impotenza

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