Toscana Medica - Luglio-Agosto 2020
T OSCANA M EDICA 6 / 2020 19 testatina qualità e prof sio e giungere l’età adulta, non ce ne sono. La recrudescenza pulsionale adole- scenziale e il rimaneggiamento dei vecchi equilibri propri dell’infanzia riattivano la minaccia di una caoticità emotiva che può prendere il soprav- vento e assumere forme francamen- te patologiche. Ad esempio, rabbia e odio (rabbia e odio punitivi) possono emergere, anche in maniera incon- trollata, ed essere diretti verso sé o verso gli altri. Certo sempre la soffe- renza è profonda. Solo una breve considerazione re- lativa al funzionamento genitoriale di persone le cui storie, individua- li e di coppia, sono per lo più as- sai complesse. Sono tali storie che costituiscono ostacoli gravosi alla capacità di modificazione dei geni- tori lungo quel tragitto che, con la nascita del figlio, dovrebbe portare la coppia coniugale a essere anche coppia parentale. È da tali storie ir- risolte che, quando la coppia ha un figlio, prendono corpo dinamiche relazionali triangolari disfunzionali, destinate a strutturarsi e inasprirsi durante e dopo la separazione. Il processo d’integrazione delle vi- cende personali e relazionali com- plesse dei genitori con le esigenze del figlio risulta ostacolato, quando non impossibile. La competenza ge- nitoriale di adattamento viene meno e al suo posto compare allora un maladattamento (Di Blasio) per cui, parafrasando ancora Siegel, il bam- bino “viene inghiottito dalle esigenze altrui”. Quale aiuto ai bambini contesi? I percorsi di aiuto sono, lo sappiamo, complessi e articolati. Alla comples- sità e gravità in sé i servizi sono ben allenati. Certo è che nessun vero aiu- to, con qualche speranza di riuscita, può essere dato ai bambini contesi senza uno sforzo congiunto di tutti i professionisti coinvolti, dell’ambito sia legale che della salute mentale, di un’autentica collaborazione. riccardo.loparrino@uslcentro.toscana.it possibilitato a manifestarsi, soccombe al predominio del “sé pubblico e adat- tivo”. In casi di particolare gravità, il bam- bino non solo non sa più esprimere liberamente all’esterno le emozioni autentiche, ma diventa anche inca- pace di riconoscerle. Vediamo pazienti (ormai di questo si tratta) arrivati all’appuntamento con l’adolescenza ancora drammati- camente al centro di conflitti genito- riali irrisolti, dibattersi in crolli an- goscianti e dagli esiti imprevedibili. Per lo più questi ragazzi/e esprimo- no penosi sentimenti di non sapere chi davvero sono e di essere privi di valore. La seconda, rischiosa, conseguenza su cui vogliamo soffermarci riguar- da l’assunzione di responsabilità da parte del bambino rispetto a quanto di negativo accade, dentro e fuori da lui. Il difettoso collegamento con i caregivers interferisce pesante- mente con l’affermarsi di una vali- da capacità del bambino di regola- re le proprie emozioni. Sentirsi lui “quello che non va” gli consente di rendere più tollerabile il dolore de- rivante dal fallimento del rapporto con genitori in evidente difficoltà e, allo stesso tempo, gli permette di or- ganizzare, in qualche modo, una vita emotiva altrimenti pericolosamente minacciata dal caos. Il prezzo da pagare per questa ap- parente tranquillità interiore, in precario e non si sa quanto duratu- ro equilibrio, è dunque molto alto: accettare la propria colpevole insuf- ficienza (sino al punto, in alcuni casi, di sentirsi “merce avariata”, per usa- re un’impietosa ma realistica espres- sione di Daniel Siegel). Atteggiamenti accudenti verso i pro- pri genitori ( parentification ), chiara espressione di quella che molti autori (Kerig, Chase) chiamano boundary dissolution (di così frequente riscon- tro nelle storie relazionali dei bambini contesi) rimandano proprio a tale di- sfunzionale strategia difensiva. L’adolescenza attende questi bam- bini come una turbolenta e perico- losa navigazione fra Scilla e Cariddi. D’altronde altri passaggi, per rag- altro ambito di lavoro clinico, come in quello con i bambini contesi, e i loro genitori, il rispetto prioritario dei bisogni del minore ( favor mino- ris ) viene da tutti tanto enfaticamen- te invocato. Le accuse che per lo più i genitori si muovono reciprocamente ruota- no attorno a questo asse centrale: il mancato rispetto dei bisogni del fi- glio, secondo la visione che ciascuno di loro ne ha. Il conflitto genitoriale irrisolvibile, portato avanti in nome dei bisogni del bambino, determina una situa- zione in cui il soddisfacimento di tali bisogni è paradossalmente negato. La circolarità positiva: riconosci- mento genitoriale del segnale del figlio - pronta risposta del genito- re - amplificazione di stati emozionali positivi e controllo di quelli negativi del bambino (descritta negli anni ’70 del Novecento da Mary Ainsworth nei bambini piccoli e da molti altri ri- cercatori dopo di lei) non può realiz- zarsi perché interrotta al suo nascere. Vorremmo segnalare due conse- guenze possibili di questa interru- zione, che ci sembrano particolar- mente preoccupanti per lo sviluppo psicologico della persona in crescita. La prima di queste conseguenze è il freezing emozionale. Se le emozio- ni, dispiegandosi liberamente nello spazio relazionale, interpersonale, sono destinate a generare, in manie- ra reiterata, delusioni e sentimenti negativi in chi le prova, è possibile che prima o poi siano sottoposte a un processo di immobilizzazione, di congelamento. Il freezing (immobilità ipertonica), in- sieme alla lotta ( fight ), alla fuga ( flight ) e all’immobilità ipotonica ( faint ), fa parte di un sistema di difesa comune a molte specie di mammiferi e certa- mente è presente in Homo sapiens (Porges e la teoria polivagale). Quando niente cambia e tale proces- so persiste nel tempo, e soprattutto quando persiste in maniera rigida, può determinarsi una condizione per cui, il “sé interno privato” e il “sé esterno pubblico e adattivo” (Daniel Siegel) non fanno più parte di un sistema in- tegrato. Il “sé interno”, nascosto e im-
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy NTA4Njg=