Toscana Medica - Marzo 2020

3/2020 T OSCANA M EDICA 26 testatina quali à e professione zioni di pazienti, per una serie di altri motivi, ad esempio perché fa leva sulla necessità delle persone di conformarsi a modelli idealizza- ti di apparenza e comportamento e perché fornisce risposte alla paura atavica di soffrire e morire. La medicalizzazione inoltre è diven- tata il principale strumento per l’at- tribuzione di senso e riconoscimen- to sociale a fenomeni quali l’ansia, l’insoddisfazione, il disagio del vive- re. Non va pertanto considerata un fenomeno costrittivo, etero-impo- sto, ma il frutto di un meccanismo selettivo, basato sui bisogni fonda- mentali della nostra esistenza. In generale, è quindi necessario che tutti i professionisti della salu- te si propongano di governare l’uso della diagnostica, peraltro sempre più accurata e in grado di rivelare alterazioni minime o inaspettate dei parametri clinici, soprattutto quando utilizzata su popolazioni di soggetti sani, evitando crocia- te ideologiche ma condividendo, idealmente anche con i cittadini, percorsi di cura e obiettivi allo sco- po di ridurre il numero delle pro- cedure inutili e dannose e liberare risorse in grado di migliorare la sa- lute dei cittadini. Si deve contem- poraneamente evitare che possibi- li limitazioni all’utilizzo di alcuni esami possano avere conseguenze disastrose in termini di diagnosi ri- tardate o mancate, soprattutto nei casi sintomatici. Utilizzando le parole della stes- sa Rosenbaum, “ sometimes less is more, sometimes more is more, and often we just don’t know ” (talvolta meno è meglio, talvolta più è più e spesso non lo sappiamo). Possiamo concordare, anche se va sottolinea- to che chi si occupa di sovradiagno- si non si oppone a priori all’amplia- mento dei criteri diagnostici, ma è “soltanto” necessario che i cam- biamenti siano giustificati, secondo una metodologia rigorosa. g.collec@vmail.it simo esperto di errori cognitivi, secondo il quale, nelle storie con cui cerchiamo di spiegare il mon- do, l’accuratezza dipende soprat- tutto dalla coerenza, obiettivo più facile da raggiungere quando “ci sono meno pezzi per comporre il puzzle ”. La forza di convinzione della concettualizzazione della so- vramedicalizzazione deriverebbe quindi, in parte, dalla tendenza del pensiero umano alla sovrasemplifi- cazione. In pratica, secondo la Ro- senbaum, la narrazione guidata dal dogma “meno è meglio” avrebbe contribuito all’affermazione di una narrazione iper-semplificata delle dimensioni, delle cause e delle pos- sibili soluzioni del problema. Il riduzionismo nella soluzione dei problemi, cioè la tendenza alla semplificazione, contribuisce pe- raltro alla deviazione dell’attenzio- ne e delle risorse della collettività dai ben più importanti macro-de- terminanti sociali, economici e am- bientali. La conclusione dell’articolo è che “ finché non impariamo a gestire le fastidiose incertezze dell’assistenza clinica, è opportuno che l’aforisma ‘meno è meglio’ si associ al racconto di storie coerenti piuttosto che alle decisioni complesse affrontate da medici e pazienti ”. Conclusioni La scarsa correlazione tra aumento della spesa e qualità delle cure, la raccomandazione a ridurre i trat- tamenti non necessari, la vastità degli sprechi in ambito sanitario, i rischi della sovradiagnosi sono ormai patrimonio culturale assoda- to. Il mantra “ less is more ” domina la scena, anche se non sempre da tali premesse derivano conseguenti comportamenti nella pratica. Il futuro sembra peraltro portare sulla via di un ulteriore rafforza- mento della spinta verso la medica- lizzazione e la sovradiagnosi. Il di- sease mongering ha molto successo, oltre che per la potente alleanza fra industrie, medici e organizza- dotto congressi, testi, articoli sulle riviste più prestigiose, iniziative for- mative, movimenti, come ad esem- pio, nel nostro Paese, il progetto culturale del Centro Studi e Ricer- che in Medicina Generale (CSeR- MEG) e del movimento culturale S low Medicine . Per offrire anche altri punti di vi- sta, “dissidenti”, riportiamo bre- vemente il pensiero di Lisa Ro- senbaum, autorevole cardiologa e giornalista, presentato in un artico- lo pubblicato a fine 2017 sul “New England Journal of Medicine” (Ro- senbaum L. The less is more cru- sade - are we overmedicalizing or oversimplifying? N Engl J Med 2017;377:2392-7). L’autrice elenca i rischi associati a un atteggiamen- to troppo superficiale e bellicoso nei confronti del fenomeno della sovramedicalizzazione, riportando studi clinici e osservazioni a soste- gno della sua opinione. Ciò ha pro- vocato la sollecita e risentita rispo- sta di alcuni tra i maggiori esperti di sovradiagnosi e sovratrattamento (Nejrotti L. Sovradiagnosi e sovra- trattamento, botta e risposta tra NEJM e BMJ . Consultabile online al sito: http://www.torinomedica. org/torinomedica/?p=20526) . Per quanto riguarda in particolare la sovradiagnosi, la Rosenbaum fa l’esempio del dosaggio della tropo- nina ad alta sensibilità, la cui iden- tificazione di alterazioni minime, indicative di una possibile necrosi, ha sicuramente aumentato le dia- gnosi di infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) e di conseguenza la necessità di esami e trattamenti talvolta non necessari. Peraltro, secondo la cardiologa, “non pos- siamo definire il miglior approccio diagnostico per una popolazione senza considerare i rischi derivanti dal non sapere”. L’autrice porta ad esempio i migliori outcome otte- nuti abbassando la soglia critica di troponina. La Rosenbaum cita anche lo psi- cologo Daniel Kahneman, mas-

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