Toscana Medica - Aprile-Maggio 2021
T OSCANA M EDICA 4 / 2021 21 testatina qualità e prof sio e e/o insufficienza multiorgano). La finestra ottimale di impiego del- la terapia imunomodulante non è chiara. Secondo la stadiazione di Siddiqi e Mehra la sindrome ipe- rinfiammatoria sistemica interver- rebbe, in una minoranza dei pa- zienti, in una fase avanzata della malattia (terzo stadio, severo) tra la settima e la decima giornata dall’esordio dei sintomi. Il primo farmaco ad azione antici- tochinica utilizzato in real-life nei pazienti con COVID-19 è stato l’anticorpo monoclonale anti-IL-6, tocilizumab. Successivamente è stato sperimen- tato sarilumab, selettivo per il re- cettore solubile e di membrana di IL-6. Altri farmaci in corso di valu- tazione sono gli anti IL-1 e gli ini- bitori delle Janus chinasi (JAK). Tra i primi si ricorda l’anakinra, anta- gonista del recettore dell’IL-1, ap- provato per il trattamento dell’ar- trite reumatoide e di altre gravi patologie infiammatorie e utilizza- to in pazienti critici con sepsi e sin- drome da attivazione macrofagica. Tra gli inibitori delle JAK, sono sta- ti utilizzati vari farmaci; i risultati più incoraggianti sono stati ottenuti con baricitinib. Nonostante la sug- gestione fornita dal modello pato- genetico, il livello di evidenza della terapia immunomodulante nella malattia COVID-19 risulta ancora scarso. L’analisi GRADE della let- teratura, disponibile al momento solo per tocilizumab, presenta nu- merosi bias , elevata imprecisione e incertezza. Al momento, come ri- portato nel vademecum terapeutico a uso dell’AUSL Toscana Centro, si consiglia di considerare l’uso di ba- ricitinib o di tocilizumab se il pa- ziente non è in grado di assumere la terapia orale, in presenza di un peggioramento del paziente ospe- dalizzato con P/F < 200, nonostan- te terapia steroidea. Terapia antinfiammatoria Sono allo studio gli inibitori del GM-CSF (mavrilimumab) e gli inibitori del complemento (ecu- lizumab e ravulizumab) oltre a trial sull’uso di colchicina, basati sull’ipotetica azione antinfiamma- toria tesa a prevenire la tempesta citochinica. Sebbene la colchicina abbia il vantaggio di essere ben conosciuta, ben tollerata e poco costosa, nella pratica quotidiana i corticosteroidi sono a oggi gli uni- ci farmaci a fornire un beneficio in termini di sopravvivenza nei pa- zienti con COVID-19 grave. Durante i primi mesi della pande- mia l’utilizzo degli steroidi è stato controverso. Dopo i risultati della sperimentazione Recovery , il trat- tamento del COVID-19 ha subito un importante cambiamento. Nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica invasiva, trattati con de- sametasone, l’incidenza di deces- si è stata inferiore a quelli trattati con terapia standard. I risultati del Recovery Study hanno avuto un impatto enorme e la terapia con corticosteroidi è stata confermata in numerosi studi, il che ha porta- to l’OMS a dare alcune indicazioni: non utilizzo dei corticosteroidi nel trattamento di pazienti non gravi e raccomandazione all’uso di cor- ticosteroidi sistemici per i pazienti con COVID-19 grave e critico (rac- comandazione forte, basata su pro- ve di certezza moderate). Le linee guida americane (IDSA) indicano l’uso dello steroide nei pazienti con malattia critica o severa, cioè con una SpO 2 ≤ 94% in aria ambien- te e la necessità di ossigenoterapia di supporto. Non viene consigliato l’uso di steroide nel paziente con SpO 2 > 94% che non necessita di supporto di ossigeno. Lo steroide raccomandato è stato il desameta- sone alla dose di 6 mg al giorno per 7-10 giorni. In alternativa è possibi- le l’utilizzo di altri steroidi a dosag- gi equivalenti: metilprednisolone 32 mg, prednisone 40 mg, idrocor- tisone 160 mg. Nella pratica clinica si apportano eventuali aumenti di dosaggio nei pazienti ad alto rischio di ARDS. Terapia anticoagulante L’infezione da SARS-CoV-2 è as- sociata a un aumentato rischio di tromboembolismo venoso (TEV) generato da fenomeni immu- no-infiammatori, che nei pazienti ospedalizzati necessita di adeguata chemioprofilassi. Dati soddisfa- centi dimostrano che così si limita il ricorso all’intubazione orotra- cheale e/o si riduce la mortalità anche grazie all’intrinseca attività antinfiammatoria della chemio- profilassi. Non vi è però certezza sulla posologia, tanto che, mentre le società scientifiche suggerisco- no dosi profilattiche o intermedie, l’ American Society of Hematology si limita a raccomandare soltanto un dosaggio profilattico nei pa- zienti con malattia acuta che non hanno tromboembolismo venoso sospetto o confermato. AIFA in una sua nota indica il do- saggio profilattico delle eparine a basso peso molecolare (EPBM) nel paziente con infezione respiratoria acuta allettato o con ridotta mobi- lità, in assenza di controindicazio- ni e l’uso di dosi intermedie/alte nei casi gravi, valutando i livelli di D-dimero (superiori di 4-6 volte la norma) e/o un SIC ( Sepsis In- duced Coagulopathy - coagulopa- tia indotta da sepsi) score ≥ 4, una ferritina elevata (> 1.000 mcg/L) o un indice di massa corporea ele- vato (> 30), pur sulla base di soli studi osservazionali e in assenza di chiare evidenze scientifiche. Sono in corso numerosi trial clinici ran- domizzati che potrebbero fornire una risposta definitiva su dosi, ri- schi e benefici dell’uso della te- rapia anticoagulante nei pazienti con COVID-19. Nel frattempo nei pazienti non critici, con polmoni- te lieve, che non necessitano di ossigenoterapia o ne necessitano a bassi flussi, si consiglia enoxa- parina 4.000 UI/die s.c. in gene- re fino a 90 kg (6.000 UI/die s.c. in pazienti con peso superiore). Nei pazienti critici con polmo- nite grave o in ARDS può essere preso in considerazione il dosag- gio intermedio di 4.000 UI x 2/ die fino a 90 kg (6.000 UI x 2 se peso superiore o 100 UI/kg x 2), soprattutto se coesistono fattori
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