Toscana Medica - Novembre-Dicembre 2021

8/2021 T OSCANA M EDICA 4 testatina l copertine di toscana medica adattano a stati d’animo e condizioni di vita» non immaginava che questo suo enunciato relativo alla composi- zione della luce potesse appuntarsi anche sul ruolo giocato dal colore nell’abbigliamento e, in particolare, in quello del medico. È indiscusso che, in qualsiasi momen- to storico, il medico, più di altri pro- fessionisti, abbia colpito l’immaginario collettivo anche attraverso la sua im- magine, il suo “modo” di presentarsi. Pur senza scomodare la medicina ma- gica dello sciamano (rigorosamente personaggio della tribù dall’abbiglia- mento più ricco di simboli, tatuaggi e colori), anche il medico occidentale si è avvalso, da sempre, di determinati richiami visivi destinati a trasmetterne serietà deontologica, professionalità, appartenenza a un ceto sociale privi- legiato. In sintesi, a marcare la sogge- zione del malato nei suoi confronti. Non esiste una data particolare in cui avviene la recusazione della veste nera a favore del camice bianco anche se questa “trasformazione” di immagine, a un giudizio affrettato, potrebbe ap- parire presupposto per una fisionomia del personaggio più “distensiva”. Il colore bianco è simbolo di purezza, di fiducia nel prossimo, di sollecito all’in- trospezione spirituale, di speranza nel futuro. In ambito sanitario, rimanda in particolare alla pulizia, all’igiene. In breve, il bianco è colore della luce in antitesi al nero che simboleggia l’as- senza della vita. Ebbene, ciò nonostante, il “camice bianco” non ha modificato l’intrinseco rapporto di apprensione, di inferio- rità, ma anche – ammettiamolo – di timoroso romanticismo, che il pazien- te, ancora oggi continua ad avvertire davanti al medico. Alla stessa stregua della casacca e dei pantaloni dal ras- serenante colore verde dei chirurghi che, similarmente, evocano tutt’altro che prati dolomitici e abetaie rilassan- ti. I colori che caratterizzano oggi l’ab- bigliamento dei sanitari – ad esempio, all’interno dell’ospedale – sono, come è noto, la veste bianca che rimanda ai medici, ai biologi, ai chimici e ai far- macisti; la verde ai chirurghi; quella gialla agli infermieri generici; quella azzurra al personale ausiliario, ecc.: una diversificazione cromatica che, grazie all’immediata percezione del livello funzionale, facilita il dialogo tra operatori sanitari di varie competen- ze e assistiti e/o frequentatori ma che, in sintesi, poco incide sul rapporto “stretto” tra medico e paziente per- ché il medico, qualunque sia il colore con cui sceglierà di abbigliarsi, resterà sempre colui da cui dipende buona parte della nostra salute e, dunque, il nostro destino. Tra le prime raffigurazioni pittoriche del personaggio in Occidente, si collo- ca l’affresco ritrovato nella casa di Si- rico a Pompei (seconda metà del I sec. d.C. - IV stile) raffigurante il medico Iapice che estrae una freccia dalla co- scia di Enea. Il medico, inginocchiato, indossa una toga che, al di là del colo- re, per molto tempo rappresenterà lo status symbol del medico. La veste lunga e poi il turbante dottri- nale (fascia più volte annodata attor- no al capo con fusciacca ricadente di lato), proposti da una prima iconogra- fia essenzialmente nei colori del rosso o del nero, marcheranno nel perso- naggio l’autorevolezza e la distinzione sociale accrescendo negli altri timore e rispetto. Un timore che si accrescerà qualora il soggetto si intabarri nella nota veste nera abbottonata dal collo fino ai piedi adottata durante le crisi epidemiche – e pestose in particolare – con l’aggiunta di quei più sopra ac- Appunti sulla storia dell’abbigliamento del medico di Esther Diana Esther Diana Architetto, storico della Sanità Il testo che vi propongo è una di- gressione rispetto al tema che mi è stato assegnato che è quello di parlare del “contagio storico” quale dej à- vu di quanto vissuto attualmen- te. Tuttavia, a ben guardare, questo argomento ben si inserisce nel com- plessivo contesto di cui mi occupo in quanto l’epidemia COVID ci ha abi- tuati a una immagine del medico a cui, davvero, non eravamo preparati: un “medico astronauta” con tanto di tuta dalla foggia spaziale, casco e tubi vari per comunicare. Quante volte abbiamo irriso l’immagine set- tecentesca del medico “della peste” intabarrato in una tonaca nera e con il volto celato da una maschera dal becco appuntito? Eppure, oggi, con le debite differenze di tecnologia e di costume, proviamo lo stesso scon- certo davanti alla figura medica pro- postaci dal COVID – del tutto logica date le contingenze! – che svilisce, tuttavia, ieri come oggi, il primo ele- mento fondamentale nell’instaurarsi del rapporto con il paziente: quel “guardarsi” reciproco mirato a valu- tarsi. Il paziente “guarda” il medico per rispondersi a domande sul tipo “mi dà fiducia?, sarà competente?”; dal canto suo, il medico, osserva co- lui che ha davanti per capire se è un malato “vero” o solo “immaginario”. Ancora oggi, dunque, il contagio tor- na a essere elemento perturbatore e poco importa che il medico astronauta sia relegato, per fortuna, solo all’ambi- to delle terapie intensive. È in tale contesto che vi propongo di ripercorrere la storia del “vestire” del medico. Dalla toga nera al camice bianco Quando JohannWolfang Goethe nella Teoria dei colori pubblicata a Tubinga nel 1810 asseriva che «Se i colori pro- ducono stati d’animo, d’altro lato si

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