Toscana Medica - Agosto-Settembre 2021
6 / 2021 T OSCANA M EDICA 4 testatina l copertine di toscana medica Le contingenze del momento hanno riproposto un tema che avevamo di- menticato certi che appartenesse al passato; a quel mondo occulto dove la malattia conservava – anche quando più conosciuta – un alone di mistero e superstizione all’interno del quale il termine “contagio” costituiva, di quel sapere contrastato, la massima esemplificazione. Oggi – nonostante tutto il progresso che la scienza e la medicina in particolare hanno conse- guito – ci troviamo a trattare ancora l’argomento quasi con la stessa ango- scia e lo stesso stupore. Sul “contagio” molto è stato scrit- to in quest’ultimo anno: forse an- che troppo. Toscana Medica ne ha trattato con intelligenza suscitando molto interesse. Abbiamo “assapo- rato” i testi di Riccardo Beconcini e di Barbara Affolter che ci hanno presentato, per le criticità sanitarie incorse a Firenze, l’operosità elargi- ta da un ente laico privato quale la storica Misericordia . Ebbene, nei prossimi appuntamenti, questo stesso argomento verrà trat- tato dal punto di vista dell’autorità pubblica, ovvero di come l’emergen- za sanitaria tra i secoli XV e XVII è stata gestita dallo Stato, organizzata dai suoi organismi e applicata dai suoi funzionari senza dimenticare come ciò è stato vissuto nella quoti- dianità da quegli “huomini dabbene” o “huomini da poco” in cui era suddi- visa la società fiorentina. Prima regola dello Stato: negare il contagio Durante le epidemie pestose del Cinquecento ma, soprattutto, per la peste del 1630-31, lo Stato viene a conoscenza di un contagio in atto tramite tre strade: quella dei “sentito dire” più o meno autorevoli di cui ne sono araldi i viandanti, i pellegrini, i mercanti, i nobiluomini in viaggio da una corte principesca all’altra; quella ufficiale (ma assai rara) proveniente direttamente dallo Stato colpito; in- fine, quella rivelata dai referenti sa- nitari delle città o terre soprattutto di frontiera che, dai mercanti in transi- to, raccolgono le notizie trasmetton- dole poi alla Magistratura degli Uffi- ciali di Sanità. È a questo punto che si attivava la macchina burocratica di allerta. In- fatti, a questo Ufficio spettava il com- pito di inviare sul posto propri me- dici per verificare la veridicità delle notizie e, qualora la malattia fosse stata accertata, ingiungere ai pode- stà di tutte le città, dei borghi e dei castelli del dominio (specialmente quelli confinanti con i luoghi infet- ti) di predisporre guardie alle porte cittadine e lungo le strade che con- ducevano alle frontiere per interdire l’accesso a uomini e merci. A legge- re la documentazione pervenutaci sull’argomento così ricca di norme e regolamenti – tutti tendenti a subor- dinare l’agire dei singoli e dello Stato al conseguimento del “bene univer- sale” – nasce immediato il plauso per la meticolosità e l’incisività di questa normativa. In realtà, ieri come oggi, nulla è perfetto ed è proprio sul tema del “chiudere” le frontiere – ovve- ro i commerci – che si evidenziano i primi “cedimenti” del sistema che inducono all’elusione delle notizie e spesso ai compromessi. Chiudere le comunicazioni con una città, con uno Stato – ieri come oggi – significa interrompere traffici e mer- cati quindi nella pratica comportare miseria per le categorie sociali già deboli ma anche proibire introiti alle categorie più elitarie, quelle, in sintesi, che reggono l’economia e le finanze dello Stato stesso. Così l’ente pubblico è indotto a prendere tempo mediante silenzi diplomatici o tramite risposte si- billine del tipo: “un pocho di peste ch’ha colpito… se ne vede già la guarigione”; “piace a Iddio laverce- ne liberato subito”; “et però si spera che non essendo infezione dell’aria sia per risolversi presto”. In tale contesto acquista importanza quel “gioco di alleanze” che, a seconda degli interessi politici o economi- ci intercorrenti tra i vari Governi, detta le regole dei comportamen- ti da adottare. Si sta a vedere cosa farà il “vicino”: chiuderà le proprie frontiere? disdetterà quel mercato? quella fiera? La diplomazia spesso rappresenta l’unica strada da intraprendere: le lettere che intercorrono tra i vari organismi statali demandati all’in- formazione sanitaria sono sempre molto formali, quasi ossequiose; raramente esternano ira per man- cate omissioni, per ritardi; sempre viene invocato l’intervento di Dio quasi che sia la sua volontà – e non il comportamento dell’uomo – ad accrescere o affievolire la virulenza del male. In ultimo, queste missive rivelano un’ulteriore ipocrisia: ovve- ro sollecitano a fornire ragguagli e aggiornamenti sul dilagare del mor- bo anche se si sa in partenza che le notizie che giungeranno saranno co- munque parziali se non mendaci. Amorevoli convicini, non è vero che c’habbiamo la peste di Esther Diana Esther Diana Fondazione Santa Maria Nuova, Onlus - Firenze
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