Toscana Medica - Giugno-Luglio 2021
5/2021 T OSCANA M EDICA 60 testatina quali à e professione do oltre 80 paesi, essa ebbe scarsa mortalità. Tra le pandemie più moderne il colera potrebbe essere equiparato per gravità alla peste, se la medi- cina del secolo XIX fosse rimasta quella del Medioevo. Il colera com- parve per la prima volta presumi- bilmente nel 1817 in India, nella regione del Bengala, e si diffuse con rapidità (di nuovo attraverso le rotte commerciali) nel sud-est asiatico, in Europa e nell’est dell’A- frica. Il batterio responsabile (il vi- brio cholerae ), sviluppandosi nelle acque e nei cibi contaminati dagli escrementi dei malati, trovò l’ha- bitat ideale nelle città densamente popolate e caotiche della rivolu- zione industriale. Gli storici assegnano alla malattia alme- no altri sei eventi epidemico/ pandemici che, protraendosi nel tempo, arrivarono ad as- sumere carattere endemico: nel 1826-1837 in Nord Ameri- ca e in Europa; nel 1846-1860 nel Nord Africa e in Sud Ame- rica; nel 1863-1875 in India, nell’Italia meridionale (spe- cialmente Napoli) e in Spa- gna; nel 1881-1896 in India, in Europa, in Asia e nel Sud America; nel 1899-1823 sulle coste del Medi- terraneo, in India, nelle Filippine, ma anche in Germania e ancora a Napoli (1910-1911). Oltre alle pandemie/epidemie fi- nora ricordate, il quadro sanitario umano ha dovuto fare i conti an- che con altre crisi epidemiche non meno virulente, che, pur senza “co- lorare” in modo unitario il quadro mondiale, hanno interessato zone a macchia di leopardo in cui, ancora oggi, persistono in forma endemi- ca. È questo il caso di una malattia fra le più antiche, senz’altro quella che maggiormente ha condizionato il rapporto uomo-società per i suoi effetti patologici, ovvero la lebbra , ancora persistente in molte aree asiatiche, africane e dell’America meridionale. A questa si aggiunge il tifo petec- chiale, cioè esantematico, le cui epidemie hanno decimato numero- 75/100.000 decessi), di Marsiglia (nel 1720 con 40.000 decessi) e di Noja nelle Puglie (nel 1815 con 700 vittime su 5.000 abitanti), sen- za peraltro scomparire del tutto, come dimostrano gli attuali perio- dici focolai in Mongolia, in India e negli Stati Uniti. Fra le patologie responsabili delle pandemie, un posto d’eccezione appartiene alla “febbre catarrale” o “catarro epidemico” (o “mal della zucca”, “del mattone”, e così via a seconda degli stati e regioni presi in esame), ovvero all’ influenza da virus RNA della famiglia degli Or- thomyxoviridae . Questa infezione deve il suo nome alla teoria mia- smatica e, più in particolare, alla credenza di una “influenza” nega- tiva degli astri che, accentuandosi durante i mesi invernali, provocava stati febbrili e tosse. A causa della rapida evoluzione genetica del virus, essa è stata ed è ancora oggi una delle principali “presenze” che hanno accompa- gnato il percorso umano. Accerta- ta fin dal V secolo a.C., dalla metà dell’Ottocento si è evoluta in con- tagiosità e virulenza attraverso ri- correnti episodi epidemici, fino a produrre la drammatica pandemia del 1918-1920 (sviluppatasi quasi in contemporanea in Francia, Sta- ti Uniti e Sierra Leone) che com- portò oltre 50 milioni di decessi. A metà del secolo scorso dalla Cina si originarono altre pandemie (1957- 1958; 1968-1970; 1977-1978) e, tra quelle più recenti, vi fu quella del 2009-2010 (detta comunemente “influenza suina”), sviluppatasi in Messico. Tuttavia, pur interessan- sua massima virulenza a partire dal secolo XVI, divenendo nella metà del Settecento la principale causa di morte in Europa. Questa infe- zione è una delle poche che l’uomo ha del tutto debellato: l’ultimo caso è stato riconosciuto nel 1975 su una bambina bengalese. In seguito, naturalmente, è com- parsa la peste : senz’altro la malat- tia che più di altre – insieme alla lebbra – ha infierito non solo sul fisico, ma anche sull’immaginario collettivo come incarnazione della malattia dovuta a un castigo divino per un peccato commesso. Anche per la Yersinia pestis viene indica- to come bacino di origine il mondo asiatico e la prima pandemia docu- mentata dagli storici fu quel- la avvenuta a Costantinopoli sotto il regno di Giustiniano (541 d.C.), probabilmente veicolata dalle carovane com- merciali provenienti dall’Asia settentrionale, dove il bacillo era già presente. Da questo momento la malattia non la- scerà più i paesi del Medi- terraneo, manifestandosi con cluster epidemici di differen- te virulenza, fino a quando varie cause – soprattutto le guerre intraprese nel secolo XIII dall’im- pero mongolo per sottomettere la Cina – provocheranno spostamen- ti di eserciti, di uomini e di merci che favoriranno una inevitabile – sebbene ancora non del tutto spie- gata – e più incisiva commistione tra il vettore di trasmissione (topo/ pulce) e l’uomo, con una accen- tuazione della contagiosità e della mortalità. Inutile, perciò, indugiare sulla pandemia che, partendo nei pri- mi decenni del 1300 dall’Asia set- tentrionale, giunse in Europa nel 1347. Da questo momento la peste diverrà un evento quasi routinario, infierendo con epidemie ricorren- ti, spesso a pochi anni di distanza l’una dall’altra, almeno fino al se- colo XVII, quando il contagio ini- zierà a rallentare. Le ultime epi- demie rilevanti furono quelle di Londra (negli anni 1665-1666 con “Da varie cose provengono germi, come sopra già dissi, vitali per noi; e molti anche invece ne volano che devono morbo e morte recare ed essi, quando si sono per caso riuniti ed hanno corrotto il cielo, infettano l’aria” Lucrezio, De Rerum natura , VI/1095
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