Toscana Medica - Giugno-Luglio 2021
5/2021 T OSCANA M EDICA 8 testatina quali à e professione aspirazione non può essere sempli- cemente quella di chiudere la paren- tesi dell’emergenza per tornare alla normalità precedente: dobbiamo aspirare a una “diversa normalità”. E questo non solo nell’ovvia predispo- sizione delle risorse necessarie, ma nel rapporto stesso tra i professioni- sti della cura e i cittadini. Tra i tanti aspetti meritevoli di consi- derazione ne isoliamo due: la distan- za fisica e l’informazione. Il distan- ziamento è stato uno degli aspetti più spettacolari della pandemia. I curanti hanno dovuto avvicinarsi ai malati di COVID, ricoverati nei reparti appo- siti, privati di una risorsa fondamen- tale nel rapporto con il malato: la vicinanza fisica. Mentre prima si pre- sentavano vestiti con un leggero ca- mice bianco, ora sono bardati – con cuffia, calzari, camice impermeabi- le, maschera filtrante, visor doppio paio di guanti – come degli astro- nauti, distanti anni luce dagli altri esseri umani, o come dei palombari che emergono dagli abissi. Le parole stesse stentano a passare attraverso la barriera della maschera. Per non parlare poi dell’esclusione della co- municazione non verbale, che nella normalità trasmette più informazioni delle parole stesse. Le tute, dunque, impenetrabili al virus, sembrano es- serlo anche alle parole e tendono a soffocare i sentimenti. E che dire dello sguardo? Nella situa- zione di isolamento creato dall’emer- genza, sembra ormai essere rimasto il canale privilegiato. Quattro medici, che durante la prima emergenza sono stati in servizio nell’ospedale san Gio- vanni Bosco di Torino, hanno raccon- tato le loro esperienze in un libro dal titolo molto efficace: Abbracciare con lo sguardo (Il Pensiero Scientifico, 2020). Una delle sfide più difficili che hanno dovuto affrontare è stata quella di trovare modi inediti per essere vici- ni ai pazienti, ricorrendo appunto allo sguardo. Tuttavia, proprio il contatto oculare è ciò che sentiamo più caren- te in condizioni di normalità. Come faceva notare acutamente la linguista Lucia Fontanella, proponendo del- le riflessioni sulla comunicazione in ambito clinico basate su dei propri ricordi ospedalieri: “ Se siete stati in ospedale, soprattutto da malati, avre- te notato quante strategie sanno usare i medici e gli infermieri per non incro- ciare lo sguardo dei pazienti. Hanno paura di essere ‘arpionati’, hanno paura di una domanda, hanno pau- ra di incontrare le persone che sono i malati ” ( La comunicazione diseguale , Il Pensiero Scientifico, 2011). Ancor più provocatoriamente, Pino Rovere- do nel romanzo Ci vorrebbe un sas- sofono (Giunti, 2019) mette in bocca a una paziente una domanda pungen- te rivolta con cortesia al suo medico: “ Scusi se mi permetto, sa per caso di che colore sono i miei occhi? ”. Siamo nell’ambito di quelle lagnanze tante volte ascoltate da parte dei malati nei confronti dei medici, i quali per tutta la durata della visita non hanno mai staccato gli occhi dallo schermo del computer, dove erano riportati i dati clinici delle analisi a cui il malato era stato preventivamente sottoposto. L’emergenza della pandemia può avere perciò questo insperato effet- to benefico: distogliere i curanti dal- la fascinazione crescente esercitata “Ma è come se per la massa delle persone ammalate sia divenuto, per ognuna di esse, sempre più difficile trovare il medico giusto … La guarigione medica non significa salvezza dell’anima. Nonostante tutti i successi il medico avverte più ciò che non è in suo potere di ciò che lo è” K. Jaspers, Il medico e la tecnica Immaginare una diversa normalità di Sandro Spinsanti Sandro Spinsanti Ha insegnato etica medica nella Facoltà di Medicina all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Bioetica nell’Università degli Studi di Firenze. Ha fondato l’Istituto Giano per le Medical Humanities e il management in Sanità (Roma). Tra le sue pubblicazioni: “La medicina salvata dalla conversazione”, Roma 2018; “La cura: con parole oneste”, Roma 2019; “Sulla terra in punta di piedi”, Roma 2021 “Non eravamo preparati”: è uno dei temi più ricorrenti tra le innumere- voli analisi della pandemia che ab- biamo ascoltato. La capacità di far fronte all’emergenza ha un termine tecnico: preparedness, in inglese. Prevista teoricamente dai program- mi ministeriali, di fatto la prepared- ness del nostro sistema pubblico non è mai stata messa nelle condizioni di poter funzionare. L’insufficien- za nella preparazione è stata per lo più posta in rapporto con le risorse tecniche (dispositivi di protezione, posti in rianimazione, farmaci, ecc.) e con il personale sanitario. Non ci siamo però spinti a domandarci se la medicina praticata in clima di nor- malità fosse adeguata a far fronte allo tsunami che ci avrebbe travol- to. La questione non è secondaria perché la normalità aveva già in sé i presupposti per far deragliare la pratica della cura, pertanto la nostra
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