Toscana Medica - Giugno-Luglio 2021

T OSCANA M EDICA 5 / 2021 9 testatina qualità e prof sio e ni, non comuni e rare – e con l’avver- tenza che l’elenco non è esaustivo. I primi a ricevere il vaccino sono stati i medici; si presume che, almeno per loro, l’informazione sia trasparente. Ma che cosa avviene quando in fila si mettono i cittadini più anziani e meno acculturati? E quando tocca agli ospiti delle RSA, magari con più o meno marcati deficit cognitivi? Consenso estorto con l’inganno o con la reticenza? L’emergenza ha fatto affiorare un problema che esisteva già ben prima dell’epidemia e al di là del consenso alla vacci- nazione: la perdita di fiducia nei confronti dei medici e della me- dicina. Coloro che cercano di smontare le esitanze vaccinali, presenti in percentuali preoc- cupanti anche tra gli operatori socio-sanitari, raccolgono come motivazione più frequente: “Io non mi fido” (dei medici, di Big Pharma , dei vari scienziati, dei dirigenti e amministratori sani- tari). Solo questione di ignoran- za dunque? Certo, è opportuno il richiamo fatto dalla Commis- sione Regionale di Bioetica alle parole di Machiavelli: “Dove men si sa, più si sospetta” (Pa- rere n. 2, 2021: “Campagna vac- cinale COVID-19”). Tuttavia, le radici sono ben più profonde: si tratta di un crollo della fiducia. È il tarlo insidioso che rode la medicina dall’interno e rischia di sfasciare l’intero edificio della cura che abbiamo ereditato. C’è chi pensa che la terapia necessa- ria al male nascosto della medicina possa consistere in un ritorno alla relazione che in passato si instaura- va tra i sanitari e i malati. A questo proposito, in Francia è appena stato pubblicato un libro-manifesto: Je ne tromperai jamais leur confiance (Ed. Gallimard, 2021). Lo propone Philip- pe Juvin, un medico che gode di alto prestigio e che si appresta a entrare nell’agone politico. Appoggiandosi esplicitamente a una formulazione da giuramento ippocratico – “Non ingannerò mai la loro fiducia” –, evo- ca un’epoca in cui il rapporto di cura richiedeva due atteggiamenti sim- li fatti fuori asse, che cogliamo con la coda dell’occhio, a fornirci degli spunti istruttivi. Per iniziare, chi si accosta al vaccino si aspetta che gli venga sottoposta una documentazio- ne cartacea di tutto rispetto: modu- li di cosiddetto consenso informato da firmare, anzitutto. Come ormai è routine , il paziente porrà la sua firma (per lo più senza leggere) e il modulo rimarrà nelle mani di chi glielo ha sottoposto. Probabilmente chi firma ha fatto propria l’informa- zione più importante, ovvero che le eventuali conseguenze negative e gli effetti collaterali ricadranno su di lui/ lei, poiché chi ha fornito il vaccino, mediante la firma, si è procurato un preventivo scarico di responsabilità. Ormai è questo il messaggio che la pratica diffusa è riuscita a far passare: “Firmo. Così, se succede qualcosa, la responsabilità non è vostra, perché me lo avevate detto cosa mi poteva capitare!”. Anche per questo motivo al firmatario non viene rilasciata al- cuna copia, poiché il modulo serve soltanto a chi deve tutelarsi, non a chi rischia. Il vaccinato riceve invece un “allegato 1 al modulo di consenso”: tre fogli densi, con un elenco di pos- sibili reazioni avverse – molto comu- su di loro dalla comunicazione digi- tale, per riportarli sul terreno soli- do di una cura che passa attraverso i sensi. In primo luogo attraverso la vista, che è in competizione con l’udito poiché l’ascolto è il primo atto di un processo comunicativo. Esso precede la parola e l’accompagna nella conversazione. È esattamente il contrario della medicina “sordo- muta”, che prevale tristemente nella normalità. E naturalmente attraver- so il tatto, a cui affidiamo il deside- rio di vicinanza, soprattutto quando le risorse terapeutiche hanno toccato il fondo e il biso- gno che emerge è quello di es- sere accompagnati nell’ultimo tratto di strada. È allora che la medicina scopre quanto l’ high touch prevalga sull’ high tech. Questo ammonimento diventa tanto più urgente nel contesto culturale denunciato da Giam- paolo Collecchia e Riccardo De Gobbi, in Intelligenza ar- tificiale e medicina digitale (Il Pensiero Scientifico, 2020). Il decadimento della relazione medico-paziente non può che essere accelerato dalla per- dita della fisicità, sostituita dalla digitalizzazione. Questo a cominciare dalla diagnosi, affidata ormai ad algoritmi. A loro avviso, “ la diagnosi non è solo mettere un’etichetta a ciò che il paziente presenta, ma un evento sociale tra due persone che si confrontano e arrivano a costruire e condividere il significato di ciò che sta accadendo ”. Se la priorità data al fattore umano andrà gradualmente a scomparire, il professionista sani- tario assomiglierà sempre di più a un operatore di call center . Un secondo tratto problematico del- la normalità, sul quale non siamo soliti fissare la nostra attenzione, è quello dell’informazione dei cittadini che si sottopongono ai trattamenti. Lo spunto ci è fornito dal consenso informato nella pratica delle vacci- nazioni anti-COVID. Merita davve- ro dedicare attenzione a un aspetto così marginale della lotta alla pande- mia? Talvolta sono proprio dei picco- “La pandemia sta influenzando il modo con cui i malati terminali vengono assistiti, quando e come le persone muoiono per altre cause e come vengono gestiti i corpi e sono eseguiti i rituali di lutto. I lutti sono sopportati senza il sostegno dei soliti rituali sociali e culturali. Il lutto è ulteriormente gravato dagli stress soprammessi della vita derivanti dalle politiche necessarie per contrastare la pandemia. Anche se siamo spesso aiutati dalla resilienza di fronte alla morte e alle altre difficoltà, per alcuni il peso di questa pandemia diverrà eccessivo. Tra gli altri problemi di salute mentale vedremo un aumento del disturbo da dolore prolungato” Goaves I, Shear K, Il dolore e la pandemia negli anziani , Am J Ger Psich 2020;10(119)

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