Toscana Medica - Marzo 2021
3/2021 T OSCANA M EDICA 20 testatina quali à e professione angoscia, il loro disorientamento, il loro senso di impotenza per quanto sta accadendo, sotto i loro occhi, ai loro figli, ora così diversi, distanti, inafferrabili. Nell’esperienza decennale del ser- vizio dedicato alla gestione territo- riale dello scompenso psichico in adolescenza dell’Unità Funziona- le Complessa di Firenze, un ruolo chiave nell’accostarsi a adolescenti con tali difficoltà è stato assunto dal- la figura dell’educatore professiona- le, che, operando in sinergia con gli altri operatori del gruppo multidi- sciplinare (medico, psicologo, infer- miere), si muove verso di loro attiva- mente, ma nel rispetto delle difese da essi erette a difesa del fragile sé. L’intervento si svolge per lo più a domicilio, poiché la casa, o addirit- tura la camera, è diventata fortez- za protettiva e, allo stesso tempo, escludente. Presenza discreta, quella dell’edu- catore, senza pretese, che non esercita pressioni, non fa richieste particolari, ma si mostra interessata a stabilire un contatto con una per- sona la cui crescita si è temporanea- mente arrestata, accontentandosi di prendere, nelle fasi iniziali dell’in- tervento soltanto ciò che essa è in grado di portare. E così, talvolta in tempi molto lun- ghi, l’adolescente, avuta la confer- ma di trovarsi in uno spazio rela- zionale sufficientemente sicuro, non controllante né giudicante, comincia a guardare il suo pazien- te ma tenace interlocutore con una certa curiosità, con occhi che ora vedono nell’altro non un potenzia- le pericolo, ma un essere umano con cui poter condividere qualco- sa, magari il semplice interesse per un videogioco. La cura sarà ancora lunga e faticosa, ma l’importante è che una breccia, anche se piccola, si sia aperta e la solitudine, sino ad allora abitata sol- tanto dal dolore, lasci spazio a una iniziale connessione interpersonale. riccardo.loparrino@uslcentro.toscana.it un insuccesso sentimentale costi- tuiscono ferite (ferite narcisistiche) profonde, che possono sembrare irreparabili. L’evoluzione di queste situazioni può essere precipitosa oppure delu- sione di sé, vergogna, suscettibilità, mortificazione possono lentamente farsi spazio nella mente dell’adole- scente e aprire la strada a una de- pressione narcisistica in cui il dolore è acuto. Il ricordo dell’offesa subita e della vergogna provata sono in- cancellabili (“… Ahi, quelle risa, e quanto m’han ferito!” grida Aiace immaginando la risata di chi ha as- sistito al suo comportamento diso- norevole, nel capolavoro sofocleo Aiace , in cui i temi dell’aspirazione alla perfezione, in questo caso di gloria, della disillusione e della ver- gogna a cui è possibile sottrarsi solo attraverso un destino di morte sono tutti tragicamente rappresentati). È così che, nelle situazioni più gravi, l’idea della morte volontaria prende corpo con forza crescente, come soluzione unica utile ad an- nullare il dolore (solitario) e a pla- care un desiderio di punizione (un “colpevole” c’è sempre, di frequen- te è il corpo) che imperiosamente la ferita narcisistica suscita. Aiutare giovani pazienti con le ca- ratteristiche qui descritte è per gli operatori della salute mentale un compito assai difficile. Gli adole- scenti più gravi vivono la propria sofferenza in solitudine, dibatten- dosi fra grandiosità e fragilità. Sono in fuga da tutto e da tutti, cercano di rendersi invisibili, sottraendosi allo sguardo, divenuto ormai in- sostenibile, degli altri, coetanei e adulti. Spesso interrompono per- corsi scolastici virtuosi, carriere sportive gratificanti, amicizie di vecchia data. Le vie ordinarie di accesso alle visite ambulatoriali il più delle volte sono impraticabili. È sempre imprescindibile il lavoro con i genitori, non solo perché essi costituiscono un tramite fondamen- tale, di frequente l’unico, fra gli operatori e i ragazzi/e. Si tratta an- che di accogliere e sostenere la loro Gli itinerari che conducono a tale sofferenza sono innumerevoli e complessi e spesso provengono da molto lontano. Nei servizi è fre- quente il confronto con storie se- gnate da esperienze traumatiche, o poli-traumatiche, reiterate nel tem- po, come avviene in alcuni giovani migranti fuggiti dagli orrori della guerra o dalla povertà estrema, op- pure in figli che, nel delicato pas- saggio dell’adolescenza, si trovano costretti a ricongiungersi con geni- tori che non conoscono, con cui non sono cresciuti e che hanno costruito nuove vite lontano e senza di loro, o ancora con ragazzi e ragazze con un passato pre-adottivo costellato di perdite, abbandoni, maltrattamenti. E con molto altro ancora. Ma c’è una forma di sofferenza, nuova per certi aspetti e nel con- tempo antica, su cui desidero sof- fermarmi. È quella che nasce dal sentimento di una propria assoluta inadeguatezza per cui la persona si vive come penosamente impresen- tabile allo sguardo altrui. È una sofferenza che investe in pie- no un certo numero di adolescen- ti del nostro tempo, caratterizzato dall’importanza, pressante e oppri- mente, della visibilità e dello splen- dore, tanto nella vita reale quanto in quella virtuale dei social media . Tempo permeato da quella che, già nel 1979, lo storico e sociologo Christopher Lash, in un suo libro di successo, aveva analizzato e defini- to come la cultura del narcisismo . Cresciuti nell’illusione della propria assoluta infallibilità, come esseri speciali dalle potenzialità illimitate, a cui tutto è naturalmente dovuto perché al loro fascino nessuno può resistere, alcuni adolescenti non accedono a un narcisismo sano e maturo e restano intrappolati fra le maglie di un disagio del narcisismo (l’epressione è di Glen O. Gabbard) che li rende fragili e vulnerabili, in- capaci di avventurarsi, appunto, con sicurezza e determinazione, nella vita ostile . Un fallimento scolastico anche lie- ve, un rimprovero da parte di un insegnante, un dissapore fra amici,
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