Toscana Medica - Ottobre 2021
T OSCANA M EDICA 7 / 2021 29 testatina opinioni a confronto più pressante, della cronicizzazione della patologia neoplastica. Ovviamente questo approccio tera- peutico, come qualsiasi altro, dovrà passare dall’asetticità degli studi re- gistrativi all’impatto nel real world dove si trovano situazioni concrete di malati con situazioni cliniche e quadri polipatologici di enorme im- pegno clinico. Inoltre una cura come questa che indubbiamente dà adito a grandi speranze non può prescindere dalla personalizzazione delle terapie im- piegate nei malati di tumore basate oggi sempre più spesso sulla sua ca- ratterizzazione biomolecolare. Le cose anche in Oncologia cam- biano in tempo reale, basta vedere cosa è diventata oggi la storia del tu- more del polmone per rendersene conto: la speranza è che con i nuovi approcci di cura anche l’epatocarci- noma possa essere avviato sulla me- desima strada. BRUNETTO - La modulazione dell’ap- proccio di cura deve necessariamen- te tenere conto della situazione sia epatica che extraepatica del pa- ziente nonché delle caratteristiche intrinseche della neoplasia. Poter disporre di biomarcatori, eventual- mente utilizzatibili secondo speci- fici algoritmi decisionali in grado di farci classificare con la maggior precisione possibile i pazienti che dobbiamo trattare, sarebbe di gran- de utilità per un approccio quanto MAZZEI - L’avvento della che- mio-immunoterapia e in particolare degli anticorpi monoclonali inibitori del checkpoint immunitario ha real- mente costituito una tappa basilare nella terapia di molti tumori: questi farmaci riescono infatti a sblocca- re l’immunità antitumorale che in molti tipi di neoplasie è soppressa dal legame fra la proteina PD-L1 e il recettore PD-1, proteine che si trovano sulla membrana dei linfoci- ti T tumorali, inibendone la cresci- ta e la funzionalità. In particolare l’efficacia dell’associazione fra ate- zolizumab e bevacizumab è stata dimostrata attraverso uno studio clinico controllato che riporta un si- gnificativo aumento sia delle rispo- ste obiettive che della sopravvivenza globale rispetto a sorafenib, diven- tando il trattamento di prima scelta in questo tipo di tumore. AMUNNI - Voglio anche io sottoline- are che l’associazione atezolizumab/ bevacizumab rappresenta davvero la prima novità di rilievo dopo gli anni degli inibitori della tirosinchi- nasi che, come già detto, venivano in pratica messi a confronto con il “nulla” terapeutico dell’epoca. I dati oggi disponibili dimostrano, oltre alla remissione completa della malattia in alcuni casi, un evidente migliora- mento della sopravvivenza e una più lenta evoluzione del decorso clinico con la conseguente necessità di af- frontare la questione, oggi sempre a ottenere l’approvazione all’uso cli- nico nel nel 2008 da parte dell’FDA è stato sorafenib , un inibitore di più chinasi cellulari tumorali. Il suo meccanismo d’azione vede come principale bersaglio il re- cettore per il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF), ma anche quello per il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGFR) insieme alla proteina BRAF. Purtroppo questo farmaco provoca un ampio spettro di effet- ti collaterali (diarrea, eritrodistesie palmo-plantari, emorragie, astenia profonda) a fronte di una limitata efficacia che consiste nell’aumento di sopravvivenza di soli tre mesi ri- spetto al placebo. Altri due inibito- ri di tirosinchinasi si sono aggiunti alle possibilità terapeutiche dieci anni dopo (2018) apportando co- munque scarsi vantaggi dal punto di vista dell’efficacia, della tossicità e della qualità di vita dei pazienti. MARRA - Credo che l’associazione atezolizumab/bevacizumab rappre- senti davvero un punto di svolta nella cura dell’epatocarcinoma anche se la sua indicazione dovrà essere attenta- mente valutata. Per fare un esempio, i pazienti con problemi di coagula- zione oppure con varici esofagee a rischio emorragico potrebbero non essere candidabili a ricevere bevaci- zumab a causa del rischio emorragi- co connesso al suo impiego. Alcuni studi recenti sembrano inoltre dimo- strare che pazienti con epatocarci- noma ed epatopatia cronica su base dismetabolica rispondano meno a questa terapia rispetto ai malati con patologia di origine virale. Bisogna però riconoscere che in alcuni casi questa nuova modalità di cura po- trebbe agire facendo regredire un quadro di malattia in fase avanzata ormai inoperabile verso stadi invece aggredibili con la terapia chirurgica. Alla luce di queste considerazioni ancora una volta appaiono indispen- sabili la collaborazione e il confronto tra specialisti all’interno dei GOM per identificare i pazienti e scegliere per ogni singolo caso le migliori op- zioni di cura.
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