Toscana Medica - Ottobre 2021

7/2021 T OSCANA M EDICA 4 testatina l copertine di toscana medica il polso” ma «guardando l’enfiato e con maturo giuditio dirà [il medi- co] il parer suo et in caso di dubbio chiamerà compagno». La “frettolosità” della visita preoc- cupava perché comportava imperi- zie di diagnosi a loro volta foriere, spesso, di veri e propri “negozi” ille- citi in quanto formulate per venire incontro alla classe sociale più de- relitta che non aspettava altro che un familiare o conoscente venisse giudicato “ammorbato” per chiama- re «li parenti d’altre case a vedere l’ammalato che sia per essere ser- rato in detta casa, per l’interesse di avere quel giulio al giorno per vive- re». Questo era, infatti, l’indennizzo che lo Stato assicurava a coloro che fossero costretti a restare rinchiusi nelle proprie case. Nei regolamenti successivi all’ Istru- zione si spronava anche a un rap- porto fra medico e paziente meno formale: «Li detti medici o cerusi- ci del quartiere o altri che faranno le dette visite siano tenuti ad ogni richiesta et anco senza esserne ri- chiesti palesare alli habitatori se li detti mali siano di sospetto subito che li conosceranno e giudicheran- no per tali […] sotto pena, alli detti medici e cerusici che mancheranno, dell’arbitrio del Magistrato loro». L’ Istruzione , soprattutto, puntava l’indice accusatore sulle «porche- rie» che combinava la classe medi- ca nell’intento di cercare di «trarre profitto dalle disgrazie degli altri». Il fisico dottor Franzesi e il cerusi- co Jacopo da Massa nel marzo 1631 venivano contattati da due sorelle di una famiglia artigiana benestante serrate in casa per la morte di due bambini «per mal sospetto». Dopo alcuni giorni entrambe le donne si erano trovate l’una con tre enfia- ti all’interno della coscia e l’altra con uno. Allettati dal guadagno i due medici accettavano l’incarico di curare “privatamente” le mala- te e così, nottetempo, iniziavano a frequentare quella casa interdetta. Ma, come sempre avviene, “qual- cuno” li vede entrare furtivamente In tema di prevenzione e sanificazione di Esther Diana Esther Diana Architetto, storico della Sanità In questi mesi in cui abbiamo do- vuto fare i conti con termini come lockdown , distanziamento sociale, quarantena, sanificazione ecc., più volte abbiamo letto contributi su come il tema salute del presente ab- bia attinto a piene mani dal passato. Tuttavia, ci piace soffermarci ancora sull’argomento proprio per le corre- lazioni con quanto abbiamo vissuto in questo ultimo anno e mezzo di epidemia. In quell’autunno del 1630, già “in sentore di peste” e forte dell’espe- rienza acquisita nel corso delle cri- ticità che avevano infierito nel Cin- quecento, il granduca emana subito bandi concernenti, in particolare, due punti. Il contenuto del primo è ovvio: interdizione dallo Stato di persone e di merci provenienti da luoghi infetti, o sospettati di esserlo, a cui segue tutta una serie di norme alle quali si devono attenere i fun- zionari a guardia di confini e città. Il secondo è più intrigante essendo costituito da un’ Istruzione pei me- dici agli esamina degli ammalati mirata non tanto a organizzare il si- stema medico-sanitario (come ci si aspetterebbe) quanto, piuttosto, a disciplinare il comportamento evi- dentemente non del tutto corretto che aveva caratterizzato l’agire di buona parte della classe medica nei confronti dell’appestato durante le pregresse criticità. Il documento, infatti, nel ribadire la precettazio- ne, il divieto di celare malati e cada- veri nelle case serrate nelle quali gli stessi medici non potevano più en- trare, sollecitava, per la prima volta, che la visita dovesse compiersi al capezzale dell’ammalato e non “alla lontana” come fino a quel momen- to era stata consuetudine. Dunque, non ci si doveva limitare a “tastare Dalla “palla profumata” al “becco”: la veste del medico durante le epi- demie pestose del Settecento.

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