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EDITORIALE 5
Per quanto Hobbes abbia realisticamente detto che la vita dei nostri progenitori era “po- vera, rozza, brutale e breve”, il mito del buon selvaggio, dell’età dell’oro, ha attraversato i se- coli, dalle Bucoliche a Thoreau, e oggi esplode nel revival di tutto ciò che è naturale, nell’avver- sione agli Ogm, nel culto delle medicine “dolci”, nelle terapie a base di erbe, nel ricorso all’irra- zionale contro la fredda razionalità della scien- za. Il parto non fa eccezione. È ovvio che il parto naturale ha sempre funzionato bene, altrimenti l’umanità si sarebbe estinta con Adamo e Eva. È altrettanto ovvio che il crollo della mortalità puerperale e neonatale è dovuto solo e soltanto ai progressi della medicina. Se ben usata, la tec- nologia è utile all’uomo.
Ma l’uomo è un essere contraddittorio; di fronte alla paventata chiusura di piccole ma- ternità dove si eseguono meno di cento parti all’anno (l’OMS ne prevede mille per mantenere aperto un ospedale) le comunità locali, con alla testa i vari maggiorenti tra cui i medici, fiera- mente si oppongono. Spesso si decide di apri- re un “Centro Nascita” che, sostanzialmente e giuridicamente, non è altro che un domicilio dove alla partoriente sono garantiti l’ostetrica e i supporti obbligatori anche in casa al momen- to del parto. Niente altro, se non un’ambulan- za per raggiungere il più vicino ospedale, se il parto improvvisamente si complica. Si accede alla casa del parto previa certificazione medica di gravidanza fisiologica (un vecchio ginecologo mi disse: “il parto se è fisiologico lo si sa solo dopo che è avvenuto”) e dopo aver compilato il modulo di consenso a seguito di esplicite spie- gazioni sui rischi possibili per la mancanza del medico e di una sala chirurgica.
I “centri nascita” sono una buon soluzione di fronte alle richieste di alcune donne; vi sono paesi in cui il parto non medicale è prevalente. Certamente è meglio che questi centri siano lo- calizzati all’interno o nelle immediate vicinanze di strutture ospedaliere per dare maggiori ga- ranzie in caso di rischio. L’importante è che gli utenti comprendano bene la differenza e ciò
non sempre accade e allora si pone qualche problema ulteriore su cui riflettere.
Una donna sceglie di partorire in un “centro nascita” dopo aver espresso il debito consen- so informato. Purtroppo qualcosa va storto e il bambino nasce con un grave danno cerebra- le. Le perizie negano colpe professionali delle ostetriche e del medico, cui il piccolo è giunto troppo tardi e sospettano piuttosto una genesi malformativa del danno. Il magistrato, confer- mando che il centro nascita non è altro che un domicilio attrezzato dall’ASL, assume la tesi che la donna non può pretendere assistenze ulterio- ri né che l’ASL abbia maggiori obblighi che for- nire l’ambulanza per raggiungere la più vicina maternità. Quindi nega il risarcimento richiesto.
Il ragionamento del giudice pone due punti fermi. La donna ha la libertà di partorire dove vuole, purché si assuma i rischi connessi alla scelta. Questa sua libertà, si potrebbe osserva- re, può danneggiare il figlio che non ha modo di esprimersi. Potrebbe lui chiedere ristoro del danno subito per la scelta materna? Lasciamo ai giuristi esplorare questo terreno minato. Ci pre- me invece veder riconosciuta la piena responsa- bilità del cittadino. Si può partorire a domicilio e l’ASL fornisce i mezzi necessari (il parto è a carico del SSN) ma se ne assumono in proprio i rischi.
Però un po’ di disagio rimane. Il parto nel centro nascita avviene comunque in un servizio pubblico. Ma che può fare la sanità di fronte a una tendenza sociale? Il problema non è di ri- spettare la libertà del singolo. Su questo non possono esservi dubbi. Ciascuno ha diritto di cu- rarsi o partorire a suo piacere. Ma la collettività? È così difficile capire che le sale parto dovrebbero espletare almeno mille parti l’anno e che non si può volere tutto e il contrario di tutto? Se si vuo- le partorire a domicilio non si possono chiedere danni da improvviso parto patologico. Agli sfor- tunati genitori va solidarietà, aiuto e pietà. Ma le umane contraddizioni non sempre possono essere risolte. L’ha già detto Kant: “nessuno può raddrizzare il legno storto dell’umanità”. TM
ANTONIO PANTI
Il legno storto
LEGENDA
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Toscana Medica 1|2015


































































































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