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EDITORIALE 5
AMBIENTE E SALUTE
ANTONIO PANTI
Rischi, deontologia e politica
L’articolo 5 del Codice Deontologico impegna i medici “a considerare l’ambiente di vita e di la- voro, collaborare con le politiche educative, di prevenzione e di contrasto alle disuguaglianze e, tra queste, i livelli di istruzione e di equità sociale, a promuovere l’adozione di stili di vita salubri, a informare sui principali fattori di rischio; il medi- co si adopera per favorire un utilizzo appropriato delle risorse naturali per un ecosistema equilibra- to e vivibile anche per le future generazioni”.
A prima vista sembra un’ovvietà più che un obbligo. Qualsiasi medico ha visto l’incremento delle patologie respiratorie e i singoli, le orga- nizzazioni e le società scientifiche lo hanno de- nunciato, mentre innumerevoli ricerche hanno descritto il rapporto tra inquinamento e malattie respiratorie; oggi il problema dell’inquinamento atmosferico è all’attenzione della società e della politica. I risultati non sono ancora soddisfacenti per la tutela della salute, ma questo è un vasto problema che impegna i cittadini tutti.
I rischi ambientali aumentano con l’esaspe- rata industrializzazione (anche se molte innova- zioni tecnologiche sono più libere da emissioni rischiose). I cittadini, spesso sotto l’influsso di un capitalismo che ha rinunciato alle obbligazioni morali e sfugge alla cosiddetta “responsabilità di impresa”, si dividono tra radicali nemici di ogni progresso e soddisfatti e inconsapevoli fautori del benessere qui e ora.
Ci si chiede quale sia il compito dei medici. La cronaca quotidiana ci pone davanti a grandi problemi, dall’amianto all’Ilva, dagli inceneritori alle grandi infrastrutture, dal traffico al rapporto tra industria e agricoltura. Produciamo energia o salvaguardiamo foreste e mari? I medici do- vrebbero acquisire dati certi sui rischi primari e sul loro monitoraggio nonché produrre previ- sioni affidabili sulle conseguenze dannose degli impianti o delle infrastrutture. Sembra facile ma non lo è. Chiunque si occupi di prevenzione o di epidemiologia sa bene quanto sia arduo estrarre dati convincenti, circa l’ipotesi che un certo ti- po di tumore sia legato in modo lineare a rischi ambientali. I registri ci danno risposte ma difficil- mente soddisfano le esigenze del magistrato, ad esempio sui tempi di esposizione necessari per il
verificarsi della patologia. La difficile conclusio- ne di molti processi lo mostra: meglio risarcire il danno e evitare il penale; dimostrare la colpa “oltre ogni ragionevole dubbio” contrasta con le possibilità conoscitive della scienza.
Ma se è difficile prevedere il passato (il ri- schio subìto) più ardua è la percezione del fu- turo. Forse certi tipi di tumore aumenteranno a causa delle emissioni di una fonte di nocività. Qual è il cut off emissivo? E le moderne tec- niche ci garantiscono il rispetto dei limiti? E come calcolare l’incidenza del tumore se oltre che sull’emissione di sostanze nocive dobbia- mo considerare i dati sull’esposizione a ulteriori rischi (fumo, alimentazione, altre lavorazioni, obesità e altro) oltre che l’indice di deprivazione della popolazione studiata? I modelli matemati- ci disponibili, la statistica frequentistica, i test di significatività, la previsione bayesiana, l’interval- lo di confidenza, ci danno risposte adeguate? La gente vuole certezze per i singoli e la scienza fornisce solo risposte possibiliste per la colletti- vità. Allora si applica il principio di precauzione ma su quali basi oggettive? Siamo certi che non esista altra soluzione che rinunciare al progres- so o allo sviluppo? Se produrre senza rischi è impossibile, si può concentrare l’attenzione sul- la produzione meno nociva, tendente allo zero. È il compito della tecnologia moderna e il con- trollo spetta anche ai medici, onde far coinci- dere la previsione dei danni da produzione con una ragionevole precauzione.
Maneggiare i big data non è facile. Quando i valori della convivenza civile, ad esempio salute e lavoro, sono confliggenti, metterli in ordine, cioè decidere quale deve prevalere, spetta alla politica. Che latita, su questo problema, in tutto il mondo. I cittadini non hanno altra scelta che rimettere in moto la politica, onde non far preva- lere gruppi decisionali separati. I medici debbo- no rivendicare il diritto di decidere, mediante le loro organizzazioni, quali dati raccogliere, come valutarli al meglio delle nostre conoscenze e pro- porsi per un monitoraggio indipendente e per la pubblicazione degli studi, quale che ne sia il risultato.
TM
S O M M A R I O ToscanaMedica5|2016

