Page 13 - Toscana Medica
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QUALITÀ E PROFESSIONE 13
Alessandro
Mugelli, Ordinario
di Farmacologia, attualmente Direttore del Dipartimento Universitario di Neuroscienze,
Psicologia, Area del Farmaco e Salute del Bambino (NeuroFarBa) dell’Università di
Firenze, Presidente del Comitato Etico Pediatrico Regionale Toscano e Coordinatore dell’Ufficio di Presidenza del Comitato Etico Regionale Toscano, Direttore SOD Farmacologia AOU Careggi.
ALESSANDRO MUGELLI, ALFREDO VANNACCI1, RAFFAELE COPPINI1, ELISABETTA CERBAI1
Credi, ma verifica
Quanto sono attendibili e riproducibili
i risultati delle attuali ricerche scientifiche?
1 Dipartimento di Neuroscienze, Psicologia, Area del Farmaco e Salute del Bambino, Sezione di Farmacologia e Tossicologia, Università degli Studi di Firenze
“Credi, ma verifica” è il principio alla base del successo di tutta la scienza moderna: ogni risultato deve sempre essere soggetto ad atten- te e ripetute verifiche sperimentali. Su questo si basano gli enormi progressi che la scienza ha prodotto negli ultimi quattro secoli.
Purtroppo quando al puro interesse scientifi- co si sovrappongono interessi di tipo economi- co si può tendere a credere troppo e a verificare poco, con evidente svantaggio per la ricerca scientifica.
Il dibattito sulla riproducibilità della ricerca scientifica è sempre stato presente all’interno del mondo accademico, ma recentemente è uscito dai confini della comunità scientifica ed ha iniziato ad attrarre l’interesse del pubblico generale; in particolare l’attenzione si è focaliz- zata sulle ragioni per cui i risultati della ricerca biomedica non si traducono in effettivi miglio- ramenti della medicina. La necessità di una ri- cerca dai risultati credibili e verificabili è infatti particolarmente forte nell’area biomedica, nella quale, in linea teorica, ogni scoperta rilevante dovrebbe tradursi, prima o poi, in un migliora- mento delle possibilità di cura dei pazienti. Ma la situazione è molto diversa e, come hanno di- chiarato i vertici del National Institute of Health (NIH), gli scienziati troverebbero difficile replica- re le osservazioni di almeno tre quarti di tutti gli studi effettuati in ambito biomedico.
Su questo tema, già 10 anni fa John Loannidis, un epidemiologo greco, pubblicò un articolo su una rivista open access (e quin- di disponibile gratuitamente a tutti) dal titolo significativo: “Perché la maggior parte degli stu- di pubblicati sono falsi” (Why most published research finding are false, http://journals.plos. org/plosmedicine/article?id=10.1371/journal. pmed.0020124), nel quale esaminava i fattori chiave che influenzano la probabilità che una affermazione scientifica non fosse vera e quindi potesse essere sconfessata da successivi studi. Nell’articolo Ioannidis analizza in modo critico il ruolo della statistica (per validare una data ipotesi, si valuta con quale probabilità i dati, che supportano l’ipotesi, possano essere sem- plicemente frutto del caso stabilendo conven- zionalmente il livello della significatività statisti- ca cioè il grado di errore accettabile) in questo
fenomeno focalizzandosi sull’impatto che una statistica inadeguata o una numerosità cam- pionaria insufficiente avevano avuto negli stu- di clinici, negli studi epidemiologici tradizionali ma anche nei più moderni studi di associazione genetica. Lo stesso autore, oggi all’Università di Stanford, ha pubblicato alla fine di ottobre del 2014, sempre sulla stessa rivista, un articolo su come intervenire per incrementare il numero di lavori scientifici pubblicati che riportino risulta- ti veri (How to Make More Published Research True, http://journals.plos.org/plosmedicine/ article?id=10.1371/journal.pmed.1001747). Il suo articolo riporta dati impressionanti: dai po- chi “dilettanti” (in italiano nel testo) del passato, la scienza è diventata oggi una attivissima indu- stria globale che, nel solo periodo 1996-2011, ha prodotto oltre 25 milioni di pubblicazioni da parte di oltre 15 milioni di autori. Le scoperte vere e rapidamente applicabili sono ovviamente molto meno ed è stato calcolato che l’85% delle risorse impegnate nell’attività di ricerca siano di fatto andate sprecate. Sono state attivate molte iniziative, alcune di grande interesse, per affron- tare questo problema nell’ambito della ricerca biomedica e degli studi clinici in particolare, per capire cioè le ragioni per cui, a fronte di enormi investimenti pubblici e privati, non siamo in gra- do di generare una ricerca che impatti positiva- mente sull’assistenza e sulle malattie. Nel 2010 la spesa totale, pubblica e privata, nel settore delle scienze della vita (in gran parte riferibile alla ricerca biomedica) è stata di 240 miliardi di dollari. Nonostante questo investimento abbia portato indubbi benefici sul sistema salute, si ritiene che i progressi avrebbero potuto esse- re molto più significativi se si fossero ridotti gli sprechi e la inefficienza con cui la ricerca bio- medica viene scelta, disegnata, condotta, ana- lizzata, gestita, regolata, disseminata e comuni- cata. È al di fuori degli scopi di questo articolo affrontare le molte e complesse problematiche che sono implicate in questi vari aspetti della ri- cerca biomedica (quella clinica in particolare) e che sono mirabilmente riassunte in un articolo pubblicato su Lancet nel gennaio 2014 (http:// dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(13)62329-6) in cui gli autori presentano una serie di 5 arti- coli pubblicati sulla prestigiosa rivista sul tema:
Toscana Medica 4|2015

