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EDITORIALE 5
ANTONIO PANTI
“Du degré de certitude de la médicine”
Era il 1788, la rivoluzione trionfava, quando Jean Georges Cabanis scriveva questo trattatello, pubblicato die- ci anni dopo, nel quale, pur convinto del grandioso futuro della scienza, coglieva fin da allora “lo iato perdurante tra la conoscenza medica in generale e l‘atto terapeutico con- creto”, come scrive Sergio Moravia nella prefazione all’e- dizione Laterza. Cabanis scriveva che “la certezza rigorosa appartiene agli oggetti di pura speculazione, in pratica ci si deve accontentare di approssimazioni più o meno esatte, di “certezze pratiche”, le uniche cui la natura ci permette di pervenire.” Cabanis afferma che le scienze non potranno mai sostituirsi all’arte, ma che questa indirizzerà quelle; una fiducia illuministica nel progresso della scienza, plasmata su una concreta visione della cangiante mutevolezza dei fatti che solo il buon medico può interpretare.
Corsi e ricorsi della storia. Sul BMJ del giugno 2014 è apparso un articolo di Trischa Greenhalgh dal titolo: ”EBM, un movimento in crisi?”. L’EBM, sostiene l’autrice, ha costi- tuito un nuovo paradigma che ha sostituito la tradizione aneddotica e teoretica della medicina con il riferimento a evidenze provenienti da trials randomizzati di alta qualità. In verità molti hanno espresso la preoccupazione che l’enfasi posta sulle evidenze erodesse l’importanza dell’esperienza clinica. Il movimento EBM ha avuto un grande successo e linee guida e PDTA hanno convinto medici, amministratori e magistrati. Tuttavia si è sempre percepita la discrasia tra le certezze sperimentali e la variabilità della prassi medica. Inoltre il perverso affidamento di quasi tutta la ricerca alle regole del mercato ha fatto sì che le contraddizioni e le spre- giudicate distorsioni delle sperimentazioni sponsorizzate abbiano ingenerato sfiducia nei medici. I quali inoltre sono sommersi da un immane volume di dati, talora incoerenti.
La stessa Greenhalgh sintetizza la crisi dell’EBM in una figura che val la pena di riportare.
favorire il fenomeno del disease mongering. Insomma lo strumento EBM, pur prezioso per la formazione dei medici alla consapevolezza scientifica, tuttavia mostra minor forza di fronte al problema moderno della complessità epigeneti- ca e della multimorbilità. Gli autori propongono di non ab- bandonare l’EBM, alla quale dobbiamo molto del progresso della medicina scientifica, ma di orientare la prassi verso una medicina basata su evidenze reali, cioè sulla capacità di me- dico di domandarsi quale sia “il miglior piano di azione per il singolo paziente” nelle circostanze di osservazione della ma- lattia e del contesto. Scoprire quel che conta per il paziente, oltre a quel che gli serve, significa avere strumenti che af- fianchino le stime quantitative con le certezze esperenzia- li del medico; seguire sì le regole, ma piegarle al giudizio fondato sulla evidenza, sull’esperienza e sulla conoscenza psicologica, empatica del paziente, sul recupero della cosid- detta medicina narrativa. Psicologia, negoziazione, condivi- sione, sono caratteristiche del medico che si intrecciano con la conoscenza delle evidenze scientifiche.
Fin qui niente di nuovo. Ma l‘intreccio tra EBM e relazio- ne col paziente si cala oggi in un contesto economico, poli- tico, tecnologico e commerciale inserito all’interno di grandi trasformazioni sociali. Sempre più difficile. Gli autori pro- pongono di tornare ai principi del movimento EBM, ormai ineludibili, piegandoli alla personalizzazione delle evidenze e alla condivisione col paziente delle decisioni che lo riguar- dano. Queste sono per gli autori le “evidenze reali”. Ogni medico sa di praticare una scienza probabilistica (incerta) e di vivere in un perenne conflitto di interesse. Due realtà assai poco modificabili. Ne dobbiamo dedurre che la macchina umana è troppo complessa per la medicina? Non è questo il problema. La prassi della medicina moderna ne pone altri, non soltanto di metodo. La questione delle evidenze, cioè delle prove scientifiche dell’agire medico, ne solleva altre le- gate alla responsabilità del medico, e quindi alla valutazione che ne dà la magistratura, nonché alle attese della società nei confronti della scienza, anzi della fede nei miracoli della medicina.
Ma torniamo a Cabanis. Questo mirabile trattatello fu scritto agli albori della scienza moderna, quando le cure non avevano alcuna base sperimentale se non qualche modesto empirismo. Allora occorreva dimostrare, con una grande in- tuizione anticipatrice, che la medicina era una scienza e che almeno “certezze pratiche” giustificavano sul piano episte- mologico l’agire del medico. Oggi tutto fa pensare ad un colossale equivoco. Nella medicina non vi sono “certezze assolute”, come tutti sembrano credere, ma solo evidenze certamente “scientifiche” ma da confrontare con la prassi prima di affidarle alla sola matematica: “certezze pratiche”. Insomma una riflessione sulle tesi di questo geniale precur- sore della medicina moderna sarebbe utile a molti, magi- strati, politici, giornalisti, bioeticisti, agli stessi medici.
TM
LA CRISI DELL’ EBM
• Il“marchiodiqualità”evidencebasedèstatoabusatoda gruppi di interesse
• Il volume di prove di evidenza, particolarmente di linee guida cliniche, è diventato insostenibile
• Benefici statisticamente significativi possono essere mar- ginali nella pratica clinica
• Regole rigide e spinte verso l’uso di tecnologie possono condurre ad un’assistenza medica concentrata sul management piuttosto che sul paziente
• Lineeguidabasatesuprovedievidenzaspessononhan- no una buona applicazione nei casi di multimorbidità.
L’autrice sostiene che l’EBM dia benefici marginali alla clinica perché gli effetti positivi di un trial possono essere significativi sul piano statistico ma non su quello clinico e perché si possono sottostimare i danni nel passaggio da un target selezionato a una popolazione reale; infine si può
Toscana Medica 2|2015

