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MEDICINA LEGALE 41
richiamato, l’inadempimento in parola sia da considerare comunque produttivo di un danno, per lesione non del diritto alla salute ma a quello dell’autodeterminazione; e se tale lesione sia di per sé risarcibile, anche laddove non sfoci in un pregiudizio per la salute. La risposta non può che essere positiva...
Omissis
... essendo quello dell’autodeterminazione un diritto inalienabile delle persone, talché co- stituisce un obbligo preciso del sanitario fornire tutte le informazioni necessarie ai pazienti per metterli in condizioni di esprimere una vera scel- ta sui possibili diversi modi di affrontare la ma- lattia. L’inottemperanza a tale obbligo rappre- senta una forma di inadempimento che legitti- ma la richiesta di risarcimento; il quale, tuttavia, per quanto detto, può avere come oggetto la lesione del solo diritto di scelta, e non anche la lesione del diritto alla salute...
Omissis
... Il risarcimento può essere quantificato solo in via equitativa...”.
Quanto all’aspetto interpretativo del fatto, come reso dal Tribunale fiorentino, semmai, può dirsi che esso non difetta di logica e di coerenza, anche se interviene a modificare ciò che sino ad ora ha affermato la Massima Giu- risprudenza o quantomeno a fornirne una so- stanziale integrazione, per cui non è dato, per ora, sapere, quale sarà il destino della sentenza di merito.
L’occasione, peraltro, è buona per esprime- re alcune osservazioni a richiamo di concetti d’indole giuridica e medico-legale che hanno segnato determinati aspetti della più recente metodologia valutativa:
Sul piano giuridico, anzitutto (e lungi da chi scrive la volontà di esprimersi in un merito di cui non è competente, lasciando ai giuristi più specifici e appropriati commenti), si è detto che le osservazioni del Tribunale fiorentino non di- fettano di logica e di coerenza. Giova, infatti, ri- cordare, che, in riferimento alla valutazione del danno in responsabilità civile e segnatamente a ciò che poteva effettivamente rappresentare l’oggetto della richiesta risarcitoria, le ormai note Sentenze di S. Martino avevano con chia- rezza e pari determinazione espresso il concet- to che tutto può richiamarsi come materia di ri- sarcimento, sempreché il danno dimostrato da Parte Ricorrente, sia rappresentato dalla viola- zione di un diritto costituzionalmente tutelato.
Da medici, naturalmente o meglio da esper- ti di materia biologica, si è indotti a considera- re come danno di specifico interesse sempre e solo quello che in qualche in modo insista sulla materia di cui si è competenti e cioè il danno biologico, inteso come menomazione dell’inte- grità fisio-psichica riferita alle attività quotidia- ne proprie a ciascuno e non riferito alla capacità di produrre reddito (danno non patrimoniale) e la capacità al lavoro specifico e cioè il grado di incidenza della menomazione sulla possibilità
di svolgere la determinata attività da cui il sog- getto traeva guadagno (danno patrimoniale).
E sempre da medici non sì è potuto che ac- cogliere con soddisfazione che fosse cancellata ogni altra sorta di “danno” che era venuta ac- cumulandosi nelle plurime interpretazioni giu- ridiche e giurisprudenziali in forma autonoma, aggiuntiva e spesso duplicata rispetto al danno effettivamente risarcibile (danno morale auto- nomo, danno esistenziale, danno alla qualità della vita, e via dicendo, fino ai più discutibili e spesso inaccettabili danni bagatellari). Ma, pur da medici, non può negarsi l’evidenza che, ove sussista la violazione di un diritto costitu- zionalmente tutelato, è giusto presumersi una compensazione per tale “vulnus”, pur se non ne consegue alcuna implicazione di danno coinvolgente l’integrità della persona. Ciò che interessa e conta, in buona sostanza, secondo la nitida logica della Suprema Corte è che se un danno ha da essere risarcito, deve corrisponde- re alla lesione di un diritto contemplato nella Costituzione, essendo tale lesione e non solo le sue conseguenze, che devono rappresentare la materia dell’istanza.
Orbene! Se, pur da medici, ci si sofferma a riflettere sul significato ed il valore della discipli- na del consenso, è indubbio che, secondo l’in- terpretazione fino ad oggi espressa dalla Giu- risprudenza, in caso di mancata assunzione di un valido consenso, ciò che in effetti si andava a risarcire erano le conseguenze della mancata assunzione medesima e non questa, come tale. E siffatte conseguenze erano rappresentate, in sostanza, dal danno biologico che in qual- che modo era derivato dall’attività perpetrata sul soggetto che, ove debitamente informato, avrebbe potuto rifiutare di sottoporvisi. Ricom- prendendosi, per esemplificare, il diritto ad es- sere risarcito dalle cicatrici (che non vi sarebbero state se l’intervento non fosse stato eseguito), della temporanea e del fastidio connesso all’in- tervento stesso, alla degenza ed alla eventuale riabilitazione, alle complicanze (che, pur deter- minatesi per motivi indipendenti dalla condot- ta, non sarebbero intercorse se l’intervento non fosse stato eseguito) e così via esemplificando; valutandosi,inognimodo,ogniformadidanno che controfattualmente non si sarebbe determi- nato, se il soggetto fosse stato messo in grado di esprimere un consenso (nella fattispecie dis- senso) motivato e consapevole.
Senza nulla modificare di una siffatta logica, il Tribunale di Firenze si limita a richiamare una più attenta interpretazione dei diritti costituzio- nalmente sanciti, ricordando che, come esiste indubbiamente il diritto alla integrità della per- sona, che può essere violato in conseguenza della mancata acquisizione del consenso, tanto da rilevarne un vario grado di perdita dell’in- tegrità fisio-psichica, esiste del pari il diritto all’autodeterminazione che risulta di per sé violato nel momento in cui il soggetto non sia posto in grado di esprimere la sua consapevole scelta.
Toscana Medica 1|2015

