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EDITORIALE 5
ANTONIO PANTI
Qual è il prezzo delle medicine?
Non è una domanda retorica: il 20% della spe- sa del SSN finisce in farmaci, alcuni di meravigliosa efficacia clinica, altri immessi in commercio perché prima si è inventata la malattia, alcuni al prezzo di un euro altri di decine di migliaia di euro di so- lito senza molta relazione col risultato. Circolano dati molto dissimili ma, per quanto è dato capire, meno del 10% del prezzo serve per la ricerca, un altro 20% per la produzione; il resto del prezzo deriva dai margini di utilità, dal marketing, dalla distribuzione, dalle tasse e così via. Capita più o meno così per tutte le merci, solo che il farma- co è un bene particolare che dovrebbe sottostare a regole certe perché, se non è giusto che alcuni lavorino scalzi per il costo delle scarpe, è ancora meno giusto che altri muoiano perché non pos- sono permettersi le medicine. L’accordo tra libero mercato (che consente l’innovazione) e regole so- ciali è necessario, se non altro perché il farmaco è venduto (dalle Aziende Chimiche) a chi non lo usa (lo Stato) e usato da chi non lo paga (i pazienti) su prescrizione di chi né lo usa né lo paga (i medici). Viene meno in tal modo la prima regola del mer- cato, la libera scelta del consumatore.
Paradigmatico è il caso dei farmaci che nega- tivizzano l’HCV. Una promessa meravigliosa, l’era- dicazione di un’infezione che può portare a con- seguenze terribili e dai costi esorbitanti. L’azienda produttrice ha posto un prezzo, per il ciclo com- pleto, di 60.000 dollari, poi portato a 30,000 in Europa; in Italia l’AIFA ha concordato circa 20.000 euro, che scendono a 4.000 per ciclo se si trattano 50.000 soggetti. In Egitto il prezzo è sceso a 900 euro; se si supera il numero previsto di pazienti in Italia il prezzo scenderà ancora. Inoltre stanno per entrare in commercio altri farmaci con le stesse in- dicazioni, ma diversi per formulazione. Si potran- no mettere in concorrenza? Ecco un primo punto fondamentale. Se una commissione di esperti sta- bilisce che due farmaci hanno identici risultati e reazioni avverse, tuttavia questi non possono esse- re messi a gara perché chimicamente diversi. Allo- ra nasce un sospetto. Nel libero mercato il limite ai guadagni degli azionisti è dato dal gradimento dei consumatori. Nel caso dei farmaci un ruolo impor-
tante lo dovrebbero avere i medici, ma sarebbe un lungo discorso. Chi può dare un valore ai possibili profitti?
Il farmaco, altresì, è una merce assai poco assi- milabile a qualsiasi altro bene. Il farmaco ha un’ef- ficacia simbolica centrale nella narrazione della malattia e della guarigione ed è lo strumento più utilizzato in ogni forma di medicina, anche popo- lare, per influire sul decorso naturale della malat- tia. Anche le moderne medicine non hanno perso il loro valore di “mediatore” tra medico e paziente e basti pensare al ruolo del placebo. Ma il farma- co media anche tra istituzioni sanitarie, mercato e paziente, sia coll’estendersi dell’autocura sia con le problematiche della compliance. L’industria del farmaco spesso ne è la prima manipolatrice quan- do crea la specifica domanda o quando propone pseudo novità o piccoli accorgimenti per schivare il limite brevettuale. Insomma “the magic pill” ha un potere mistico che fa rivivere il feticismo della merce di marxiana memoria. Su questa efficacia sociale si può giocare e rendere più difficoltoso l’esercizio della ragionevolezza, come quando si spendono migliaia di euro per ottenere remissio- ni di pochi mesi e di scarsa qualità della vita. Ma come dire di no? Anche se in alcuni paesi lo si fa.
L’impressione che si ricava da questa vicenda è politicamente complicata. È come se il farmaco fosse diventato una specie di zona franca di libero mercato senza le regole della concorrenza. Al di là degli aggi molto pesanti della distribuzione e del marketing, che assai spesso sconfina nel conflitto di interessi, la sanità è comunque un mercato so- ciale (il consumatore non paga ed è giudice non del tutto attendibile) in cui le forze del mercato non trovano regole e limiti ma possono giocare su diversi fronti dal formidabile peso antropolo- gico. Qualche regola si delinea all’orizzonte quale la valutazione del “valore terapeutico aggiunto” o la limitazione brevettuale per i farmaci innovativi e di alto costo, ma resta il fatto che alla domanda: quanto è giusto il profitto dei produttori, bisogna in qualche modo rispondere pur nel massimo ri- spetto del rischio d’impresa. TM
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Toscana Medica 7|2015


































































































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