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EDITORIALE 5
I farmaci per l’HCV. Che ne pensano i medici?
La grande stampa ha dato spazio alla pole- mica sul costo elevatissimo dei farmaci che era- dicano il virus HCV nella quasi totalità dei casi. I cittadini si saranno convinti che la posizione assunta dalla Toscana, col sostegno e l’impulso dei medici, ha un valore ulteriore rispetto a que- sto sia pur rilevantissimo problema.
È chiaro che eradicare il virus HC nei soggetti in fase iniziale di malattia porta alla restituzione alla salute e, dati i costi elevatissimi dell’assisten- za alle patologie HCV correlate, anche l’econo- mia del servizio ne trae vantaggio. La storia tut- tavia è finita in tribunale.
Un’azienda produttrice ha ricorso al TAR e finora ha perso. AIFA, che avrebbe potuto con- trattare un accordo pluriennale per curare tutti i soggetti positivi con costi vantaggiosi, visti i prezzi concordati in altri paesi, al contrario ha contestato (chissà perché?) la Toscana anche al TAR. Eppure la questione è chiara. La Toscana propone di aggiungere ai circa 3.000 casi cura- bili nella nostra Regione in base all’accordo AIFA (quelli più gravi in cui la malattia si fermereb- be ma non regredirebbe) anche i quasi 25.000 pazienti esenti ticket per epatite da HCV. Ovvia- mente la Regione chiede un abbattimento del prezzo.
Ma le aziende non hanno partecipato alla gara; la Regione allora ha ripetuto il bando a base libera. Una sola azienda si è presentata (le Aziende hanno l’obbligo di partecipare alle
Prezzo di sofosbuvir per 12 settimane di trattamento
gare regionali che ricontrattano il prezzo base stabilito da AIFA) reiterando l’offerta del prezzo nazionale. L’altra azienda non ha partecipato.
Ora, al di là delle decisioni della magistra- tura, adita dalla Regione Toscana, degli esiti dell’indagine del Senato, al di là della discussio- ne mondiale sul costo elevatissimo dei farmaci nuovi (l’OMS ha istituito una commissione ad hoc, Cina e India rifiutano il brevetto, il Senato americano è allertato sul problema) che morale ne possono trarre i medici?
I medici desiderano disporre di quanto offre la moderna tecnologia per curare i propri pa- zienti e che la spesa, posta a carico dello Stato o del cittadino, sia comunque sostenibile e che nessuno muoia (ad esempio di cirrosi) perché non si può curare. È banale affermare che solo l’impresa privata può rischiare ingenti cifre per scoprire nuovi farmaci. Ne consegue che si tro- vano di fronte, per contrattarne il costo, da un lato il monopolio delle aziende chimiche, dall’al- tro il monopsonio dell’acquirente pubblico.
Un accordo va trovato, tanto più che il far- maco è una strana «merce» che chi produce (le aziende chimiche) vende a chi compra ma non usa (lo Stato) e chi lo usa (i pazienti) non paga. Mediatore è il medico che non paga né usa i farmaci che prescrive. Allora i medici dovreb- bero pretendere regole eque nell’interesse del paziente.
Quindi, senza alcuna ideologia (la legge contro il trust nacque in America nei primi anni del secolo scorso), si vorrebbe soltanto il rispet- to delle due regole fondanti del libero mercato, la trasparenza nella formazione del prezzo dei farmaci e la concorrenza, cioè la possibilità di mettere a gara farmaci equivalenti per risultati e reazioni avverse anche se biochimicamente dissimili. Attendiamo gli interventi delle Società Scientifiche e della Federazione degli Ordini.
Ai medici è affidato il ruolo sociale (e antro- pologico) di tutelare la salute mediante il servi- zio sanitario che ne è lo strumento più garan- tista.
Dovrebbe essere un fine della medicina mo- derna quello di superare il conflitto di interesse per prospettare una sinergia tra industria, me- dici e servizio pubblico onde indirizzare al me- glio lo sviluppo tecnologico (si pensi ai farmaci biologici, alla farmacogenetica, alle terapie ge- niche) e analizzare l’innovazione in termini di ef- ficacia reale e di sostenibilità, così contribuendo alla trasparenza o meglio all’evidenza del costo dei farmaci. TM
Toscana Medica 8|2015

