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14 QUALITÀ E PROFESSIONE
PAOLO MARINO CATTORINI
Medicina e attività fisica tra benessere
e opportunità terapeutica
Paolo Marino Cattorini è Professore Ordinario presso la School of Medicine e Docente
di Bioetica, Università degli Studi dell’Insubria, Varese; laureato in medicina e in filosofia, è stato componente
del Comitato nazionale per la Bioetica e della Commissione Nazionale per la Lotta all’Aids;
tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Bioetica, Milano, Elsevier, 2011, Bioetica e cinema, Milano, FrancoAngeli, 2006 e Il desiderio di salute, Torino, Camilliane, 2013.
Il “maratoneta” del film di John Schlesinger (Usa 1976), il timido ebreo, studente di storia e appassionato di corsa, chiamato Babe e interpre- tato da Dustin Hoffman, guarda e sogna Abebe Bikila1. Lo sogna come un idolo, per l’eleganza della postura, per la fierezza dello sguardo di un etiope, che alle Olimpiadi di Roma del 1960 vinse addirittura senza scarpe. Lo sport ha i suoi riti, i suoi santi, i suoi idoli e liturgie. Come ogni religio- ne secolare, invita a seguire una Legge, una tavola di norme, un’etica insomma. Ma quale etica?
Un medico, che si occupi oggi di sport, si trova nel cuore di dilemmi etici bollenti. La cosa non è del tutto nuova, perché già nel 1962 (quindi prima della nascita istituzionale della bioetica), almeno due capitoli di un manuale di etica, assai consultato (perlomeno) dai sanitari milanesi, diedero molto da discutere2. In uno si esprimeva una chiara condanna del pugilato professionistico, una condanna – diceva l’auto- re – che “non può sorprendere il medico spor- tivo, sempre assai preoccupato della sorte dei suoi atleti”3. Il motivo? Nella boxe l’atleta cerca direttamente di danneggiare l’avversario:
“tutti i professionisti che salgono sul ring mirano al K.O. (Knock-out); tutti i colpi sono visibilmente indirizzati a questo fine”. Quando un legale, in un pubblico dibattito del 1958, tentò di sostenere il contrario, “i campioni presenti, fra cui Duilio Loi, Jacovacci, Garbel- li, dissentirono apertamente decisamente: «E allora sul ring, che ci andiamo a fare?»”. “Il K.O. e il K.D. (Knock-down) non sono dunque semplici incidenti indesiderati o comunque estranei alla struttura del pugilato, ma sono elementi tecnici della formula pugilistica del quadrato”4.
Parlavamo di un dibattito infuocato. La prima ragione riguarda l’incertezza nella definizione di sport. Il pugilato (senza il casco da palestra o al- tre protezioni) è uno sport? E l’automobilismo? E il free-climbing in solitaria, senza protezione? E una gara con gli amici alla play-station? Noi abbiamo proposto una definizione, che suona più o meno così: “un corpo addestrato lotta nella sua interezza, secondo regole predefinite, contro un ostacolo, nel desiderio di espandere la propria signoria sull’ambiente”5. In quest’ot- tica non c’è contraddizione tra il valore della sa- lute e l’obiettivo della competizione, in quanto il compito di quest’ultima è quella di determinare chi (e in che misura) abbia saputo migliorare at- traverso il training le proprie individuali risorse corporee di base, al punto da padroneggiare e migliorare le abilità (skills improvement), ti- piche e specifiche di ogni sport, conseguendo un apprezzabile risultato o sconfiggendo gli avversari. I beni “intrinseci” allo sport ruotano attorno all’elasticità ed efficacia del gesto atleti- co, che è simbolo di un corpo sano, impegnato in una vita buona e legato lealmente a vincoli sociali giusti (di cui le regole sportive di fairness sono esempio). Sono invece beni “estrinseci”: la fama, il prestigio sociale, il denaro e il vantag- gio/successo competitivo di per sé6.
La nozione di salute, che facciamo nostra, è quella classica di Canguilhem. La salute è “nor- matività”, la capacità cioè di imporre le proprie norme all’ambiente e di inventarne di nuove7. Un organismo è più sano se ha una maggio- re elasticità nel trar fuori, dalle proprie riserve vitali, regole omeostatiche più sicure ed effi- cienti rispetto sia alle minacce ambientali (un rugbista allenato ha una tonicità muscolare che lo protegge dai contatti nella mischia), sia alle
1 J. Schlesinger, Marathon Man (Il Maratoneta), Usa 1976, dal romanzo di William Goldman, autore della sceneg- giatura.
2 G. Perico S.I., Difendiamo la vita, Milano, Centro Studi Sociali, 1962. I capitoli erano “Lo sport – Valori e aberrazioni” e “Il pugilato” (quest’ultimo alle pp. 339-360).
3 Ivi, p. 360.
4 Ivi, p. 353. Negli stessi anni era apparso sugli schermi il film Un uomo facile, di Paolo Heusch, Italia 1959.
5 P.M. Cattorini, Cap. II “Salute nello sport. La questione etica del doping”, in Id., Il desiderio di salute, Torino, Camil-
liane, 2013, p. 67.
6 T.H. Murray - A.J. Schneider, “Sports, Bioethics of”, Enc. Bioethics, 3rd Ed., S.G. Post, Ed. in Chief, Farmington Hills,
Gale - Macmillan, 2004, pp. 2461-2469.
Toscana Medica 2|2015


































































































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