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QUALITÀ E PROFESSIONE 21
del carattere, del sesso, del lavoro svolto, della famiglia e delle condizioni sociali, economiche e sanitarie. Va dunque valorizzata la continuità nella storia di una persona che non è una entità astratta ed isolata, un bambino - un adulto - un vecchio - ma una unità dinamica e solo fenome- nologicamente mutevole. Ma allora, dati questi molteplici destini psicoesistenziali, ci sono aspet- ti che influenzano l’apparato psichico senile in modo più uniforme e condiviso?
Certamente il Corpo, che da mediatore degli scambi con il mondo e da simbolo di controllo diventa un oggetto ostacolo e il Tempo, teso- ro in estinzione, rientrano, in questo contesto. Questi due aspetti, che riguardano molto anche il processo dell’invecchiamento, in vecchiaia si correlano fondamentalmente a certi tipi di perso- nalità: a) coloro che non sono riusciti ad affran- carsi da un bisogno di appartenenza al processo produttivo o al successo sociale; b) coloro che sentono il bisogno di mettere in ordine o ripa- rare certi aspetti dolorosi o insoddisfacenti della loro vita; c) coloro che investono sul corpo come principale indicatore del proprio valore; d) coloro che investono sul corpo per negare il processo di invecchiamento, cioè le ineludibili usure del tem- po. La corporeità, in condizione di non malattia, è sempre una intersezione, una zona di frontiera, di dialettica tra il corpo che sono, Leib secondo la fenomenologia tedesca, ed il corpo che ho, Korper, anche se il primo che esprime l’intenzio- nalità, la capacità di relazione, di soggettivizzare il mondo e di mondanizzare l’Io usualmente ol- trepassa e trascende il secondo. Il gioco di arti- colazione tra soggetto corpo e oggetto corpo si fa difficile nei momenti di passaggio della vita, come ad esempio nella vecchiaia. Va comunque sottolineato che ci può essere ancora una dialet- tica tra Korper e Leib, se c’è una elaborazione, cioè un lavorìo interno che sfocia in accettazione, reazione costruttiva, e nuovi investimenti. Altri- menti ci sottomettiamo al Korper che ci fa subire quanto proviene dalla nostra materialità, e che siamo costretti ad essere.
Il tempo ha un valore così rilevante come non l’ha mai avuto in altre età della vita. Il passato in- combe soddisfacente, ricco o no. Il passato non solo si ha, ma sopratutto si è. Avere un passato equivale ad essere come siamo stati, componen- te non trascurabile del sentimento di Sé, della propria identità. Il presente si coarta ed il futuro è in linea discendente, con cadute di progettuali- tà anche se la speranza non per questo è sempre annullata (motivi teologici, mondani, affettivi, intrapsichici). In queste dimensioni del tempo è frequente incontrare una ambivalenza ed una conflittualità; il soggetto vive nel passato ma è ancora agganciato al presente, e pensa al futu- ro anche se limitato, a come vivere, l’idea della morte è spesso scotomizzata o allontanata in un rimando temporale indefinito.
Se corpo e tempo sono dimensioni omoge- neamente condivise in vecchiaia, appartengono alla stessa matrice anche eventi provenienti dalla realtà esterna (o interna?) come le va-
riazioni dell’assetto familiare (morte del coniuge, allontanamento dei figli arrivo dei nipoti), il pen- sionamento, le elucubrazioni e le polarizzazioni sullo stato di salute - comparsa di malattia, mi- naccia di ricovero - spettro dell’invalidità e delle sue conseguenze.
La caratteristica comune di questi eventi è che non sono situazioni di emergenza, ma vere crisi esistenziali che implicano cioè un cambiamento di assetti interni, di relazioni e di comportamenti. Ma cambiare è difficile, sopratutto per chi non è mai riuscito a modificare i propri consueti mec- canismi di fronte a dinamiche familiari, lavorative e interpersonali in genere. Solo chi ha saputo ela- borare le innumerevoli crisi ed i micro-lutti della propria esistenza è preparato al cambiamento, mentre gli altri saranno esposti ad un insuccesso. Necessario è allora disinvestire da valori fino ad allora significativi e strutturanti e reinvestire su oggetti magari prima percepiti come marginali o irrilevanti. Nell’ambito di queste crisi esistenziali, che tendono ad accomunare i soggetti nel loro lavoro intrapsichico di invecchiare, vanno segna- lati alcuni eventi, tutti col significato di perdita, e sul cui modo di essere affrontati si gioca l’oscil- lazione tra vecchiaia subita o vissuta. Il primo fra questi è la perdita del coniuge, poi la scomparsa di una persona affettivamente investita con lun- ga storia di identificazione, poi la perdita di beni materiali, ed infine la perdita di una parte del cor- po, delle proprie funzioni, del controllo delle pro- prie azioni. Anche se non è perdita totale come accade per la memoria, la vista, l’udito e così via, spesso viene evocato il fantasma di un mondo insicuro, dipendente, precario.
Non ci sono reazioni uniformi a queste cri- si. In alcuni casi, fortunatamente non i più fre- quenti, c’è un comportamento disadattativo, con lamentosità, maldisposizione, intolleranza, ostilità opposizione che ha alimentato uno ste- reotipo dell’invecchiamento come regressione a tappe arcaiche dello sviluppo o il ricorso a mo- dalità manipolative di interazione con gli altri. Più frequentemente c’è una accettazione dei limiti senza troppi ritiri difensivi, con ricerca di nuove soluzioni, con tolleranza al sostegno, con tolle- ranza alla dipendenza senza che venga meno il desiderio di preservare la propria autonomia. Oggi in gerontologia si parla spesso di resilienza, come capacità di ricominciare da capo, di ricosti- tuire una vita significativa anche dopo perdite, di affrontare la realtà senza negarla o cadere nella disperazione.
In conclusione la reazione di fronte alla vec- chiaia e ai suoi eventi critici dipende da:
a) condizioni sociali e ambientali;
b) struttura di personalità del soggetto, se ha cioè tolleranza al cambiamento, alla dipenden- za, capacità di nutrire fiducia, se ha impiegato nella vita meccanismi difensivi maturi, se ha un nucleo stabile di identità accettata nel passato e nel presente, senza ricorso ad evitamenti o fughe in avanti. TM
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Toscana Medica 2|2015


































































































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