Page 28 - Toscana Medica
P. 28

28 QUALITÀ E PROFESSIONE
a. l’esplicita e consensuale accettazione del rapporto medico-paziente;
b. l’attivazione e l’espressione del materiale ideo-affettivo dell’interlocutore;
c. l’utilizzazione del sapere esperienziale più che del sapere dottrinale;
d. la presa di coscienza della complessità del- la relazione stessa in quanto non basta analizzare superficialmente un messaggio se non cerchiamo l’impiego di metafore ed analogie;
e. la decodifica dei messaggi;
f. il raggiungimento di una valida alleanza te- rapeutica.
La comunicazione tuttavia può presentar- si problematica e contraddittoria, ovvero può fallire, quando le intenzioni del parlante e l’in- terpretazione dell’ascoltatore non si incontrano (Milroy, 1984).
In questo modo, possono crearsi da parte di chi ascolta a) Incomprensioni, dove si chiedono chia- rimenti sulle intenzioni di chi parla perché non si riesce a capire correttamente; b) Malintesi, dove si attribuiscono alla fonte della comunicazione inten- zioni diverse da quelle che era suo intento trasmet- tere; c) Rigetti, qualora si creda che chi parla stia mentendo; d) Negazioni, nel caso in cui si ritenga che l’emittente possieda convinzioni erronee sulle condizioni dell’atto comunicativo; infine, e) Rifiu- ti quando non si accetta lo scopo di colui che sta parlando.
Thomas Gordon elenca dodici barriere della comunicazione:
1. Dare ordini, comandare: “Tu devi...”, “Bisogna
che tu”, “Tu farai...”.
2. Minacciare, avvisare, mettere in guardia “Se
non farai così...”, “...altrimenti...”.
3. Fare la predica, rimproverare “Dovresti...”, “Sta al tuo senso di responsabilità...”, “Sai che è
tuo dovere...”.
4. Offrire soluzioni, consigli: “Al posto tuo farei”,
“Consentimi di darti un consiglio...”.
5. Argomentare, persuadere con la logica “Ecco
perché tu sbagli...”, “Sì, però, ...”.
6. Giudicare, criticare, biasimare “Sei un incapa-
ce...”, “Sei un perdigiorno...”.
7. Ridicolizzare, etichettare, usare frasi fatte “Fannullone!”, “Ti comporti da bambino...”.
8. Interpretare, analizzare, diagnosticare “Sei
solo stanco...”, “Tu in realtà non vuoi dire que-
sto...”.
9. Fare apprezzamenti, elogiare per manipolare “Hai ragione, il tuo amico è proprio terribile...”.
10. Rassicurare, consolare “Non avere paura... ”,
“Fatti coraggio...”.
11. Contestare, indagare, mettere in dubbio “Per-
ché...”, Chi...?”, Come?”.
12. Cambiare argomento, minimizzare, ironizza- re “Parliamo d’altro!”, “Adesso non è il momen- to...”.
Gli stili comunicativi
Tra medico e paziente possono quindi crearsi diverse modalità di rapporto e tali modalità devono
essere lette ed interpretate al fine di utilizzarle per il benessere del paziente. È naturale, ad esempio, che una modalità di comunicazione rigida da parte di entrambi, possa impedire il colloquio. Riportia- mo gli stili espressivi più comuni che i soggetti pos- sono tenere nell’incontro:
Stile aggressivo dove il soggetto:
• ritiene che solo con la forza e la veemenza si possano ottenere dei risultati;
• vede il mondo popolato da nemici e da per- sone ostili, le quali devono essere attaccate;
• pensa che lo scoppio di collera sia una for- ma di catarsi, di sfogo per ridurre la sua tensione interiore;
• ha ignoranza cognitiva e sociale.
Stile passivo dove il soggetto:
• accetta e subisce le idee altrui;
• desidera essere simpatico e amico di tutti;
• cerca di evitare i conflitti, temendo di riceve-
re da essi stress eccessivo;
• ha poca autostima di sé;
• evita di esprimere le personali esigenze.
Stile assertivo:
• accetta le idee altrui, ma esplicita chiaramen- te le proprie opinioni;
• mantiene buoni rapporti di interazione con gli altri;
• vede nella negoziazione lo strumento per af- frontare e risolvere i conflitti;
• ha autostima;
• ha rispetto e amore per sé e per gli altri. Altri stili comunicativi possono essere rappre-
sentati dallo stile drammatico, dove spesso si amplificano contenuti e disagi, aperto dove si cer- ca di nascondere il meno possibile, l’amichevole per cercare, e non sempre accade, una partecipa- zione e condivisione nelle idee, il polemico dove ogni argomento è motivo di contrarietà e critica.
Conclusioni
Al di là degli stili comunicativi, il terapeuta do- vrebbe avere consapevolezza del proprio stile e co- noscere le tecniche professionali per attuare altre modalità di interazione quando il proprio risulta fallimentare ai fini terapeutici e di rapporto. Il tera- peuta dovrebbe riconoscere e tener presenti quindi le molteplici cause di fallimento della comunicazio- ne quali:
• non saper ascoltare;
• formulare giudizi;
• fornire frasi fatte;
• cambiare argomento;
• frasi di rifiuto senza appello.
La comunicazione tra medico e paziente rap-
presenta quindi un bisogno ed una capacità che va sviluppata; se poi, quindi, l’intento è quello tera- peutico e non di intrattenimento essenziali oltre la pazienza, il buon senso e la “fortunata” empatia, sono tecnica e professionalità. TM
Info: banialex@virgilio.it
Toscana Medica 2|2015


































































































   26   27   28   29   30