Page 17 - Toscana Medica
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QUALITÀ E PROFESSIONE 17
che negli ospedali dove lavorano gli hospitalist ci sono:
1) maggiore appropriatezza con conse- guente riduzione dei costi e della degenza media;
2) maggioreaderenzaallelineeguida.Ilsuo ruolo è centrale in quello che definiamo gover- no clinico.
L’hospitalist e la mutazione della richiesta sanitaria
Negli anni ‘80-‘90 in America si andava svi- luppando la figura del regular doctor. Al con- trario, in Europa si assisteva ad un’esplosione di branche specialistiche e sub-specialistiche, con la conseguente suddivisione degli ospedali in reparti mono e ultra-specialistici, dove il pa- ziente era ricoverato sulla base della patologia d’organo o di apparato. Attualmente i pazienti ricoverati sono sempre più anziani e con pluri- patologie, e non sempre si riesce ad identificar- ne una prevalente. Diventa sempre più apprez- zabile il rischio che troppi medici specialisti per lo stesso paziente portino ad una sovrarichie- sta e ripetizione di esami, sovraproduzione di diagnosi e sovraprescrizione di farmaci. La ne- cessità della sintesi e dell’individuazione delle priorità rappresenta quindi un elemento di fon- damentale importanza. A ciò si aggiunge il cre- scente numero di pazienti fragili, oncologici e con problematiche sociali, che richiedono da un lato la cultura del “choosing wisely” (iniziativa dell’American Board of Internal Medicine, che pone particolare attenzione alla qualità di vita) e dall’altro una forte capacità di comunicazione e di empatia. L’internista adeguatamente formato appare, tra le varie figure specialistiche, la più idonea per tale tipo di attività. Negli USA l’80% degli hospitalist sono specializzati in Medicina Interna.
Hospitalist e ospedale per intensità di cura
L’Ospedale per Intensità di Cura appare il modello ideale per la figura dell’hospitalist. I concetti di processi di cura, centralità del pa- ziente, flussi legati al bisogno assistenziale, pre- sa in carico, ben si adattano alle funzioni e re- sponsabilità di una figura di riferimento, fulcro e coordinatore di un sistema. Il passaggio da sin- goli reparti monospecialistici ad aree omogenee rappresenta la base della struttura funzionale nella quale lavora l’hospitalist.
Hospitalist e hospitalist team
Negli USA gli hospitalist non svolgono turni di notte, per la salvaguardia della continuità di cura. Alcuni team di hospitalist si organizzano con periodi più o meno lunghi di sole guardie; più recentemente gli ospedali americani stanno assumendo medici dedicati esclusivamente a questa funzione (“nocturnalist”).
La necessità di presidiare l’ospedale di not- te e nelle festività si traduce con la presenza costante dell’hospitalist 24/24 ore nell’ambito
di un’area ospedaliera. Di conseguenza do- vremo passare dall’idea di “hospitalist” come figura singola ad un modello organizzativo di “hospitalist team”. La presenza di team di ho- spitalist è comunque la regola anche negli USA.
Hospitalist e casistica
Negli USA un singolo hospitalist segue me- diamente 12-18 pazienti, dimette mediamente 4 pazienti al giorno accogliendone altrettanti, con un orario di lavoro flessibile da 8 a 12 ore al giorno. In caso di overcrowing, l’hospitalist può seguire un numero maggiore di pazienti au- mentando il numero di ore lavorative con ade- guamento economico oppure viene aggiunto ad esso un altro hospitalist. L’hospitalist prende in carico i pazienti medici qualunque sia la pato- logia che ha determinato il ricovero, avvalendosi fin dall’inizio di consulenti.
Hospitalist e specialità
L’hospitalist non si sostituisce allo specialista, bensì coadiuva con lui nelle esigenze clinico-as- sistenziali e nei percorsi diagnostico-terapeutici. Attorno al paziente possono muoversi più figu- re professionali. Il ruolo dell’hospitalist è in que- sto caso quello di leader in un’ottica di co-ma- nagement. Importante è anche la funzione che l’hospitalist può svolgere in ambiente chirurgi- co. Le competenze internistiche possono essere complementari a quelle anestesiologiche per la medicina peri-operatoria ed un particolare ruo- lo potrebbe essere visto in ambito ortopedico, dove l’hospitalist prende in carico il paziente af- fetto da complicanze o comorbidità mediche.
Hospitalist e futuro
In un recente numero di Toscana Medica si è sottolineato che, nella nostra Regione, l’attua- zione del modello per intensità di cure è diffor- me nei vari ospedali e che laddove si è applicato in maniera più rigida si sono create alcune stor- ture (G. Panigada et al. Toscana Medica n.10, 2014). Una rappresentazione spesso usata è quella di un modello che è rimasto a metà del guado, con l’impossibilità a tornare indietro ma anche con l’estrema difficoltà ad andare avanti. Tra le criticità emerse si segnalano quelle relati- ve al tutoraggio, al briefing, al disorientamento di pazienti-familiari-operatori, all’interrelazione medico-infermiere, alla dispersione e all’asse- gnazione dei malati.
Diversi aspetti del “modello hospitalist” po- trebbero contribuire al miglioramento. Non vi è dubbio che questo implica un serio investi- mento di risorse sulla Medicina Interna, ma che diventerebbe fruttuoso già nel breve-medio ter- mine come rilevato in letteratura. Negli USA la figura dell’hospitalist si è oramai affermata de- finitivamente, con evidenza di sicurezza, qualità ed efficacia: che sia questo l’anello mancante per uscire dal guado? TM
Info: verdiani@fastwebnet.it
Toscana Medica 5|2015


































































































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