Page 19 - Toscana Medica
P. 19

QUALITÀ E PROFESSIONE 19
mappa variegata di popolazione detenuta dove emerge sempre più in termini contrastanti il fe- nomeno dell’emarginazione: i tossicodipen- denti, i malati di AIDS, gli extracomunita- ri, i malati di mente, una fetta di umanità ferita.
La prestazione operativa del medico peni- tenziario deve caratterizzarsi con una combina- zione/integrazione dei contenuti tecnico-scien- tifici e degli atteggiamenti affettivo-relazionali, il cosiddetto fattore umano e propriamente questo rappresenta il vero valore aggiunto della medicina penitenziaria.
È innegabile che il concetto stesso di salute subisca un forte ridimensionamento quando viene inserito nel contesto carcerario.
Carcere e salute sono antitetici, perché fon- damentalmente il carcere è la negazione della salute intesa come definizione dell’Organizza- zione Mondiale della Sanità e cioè stato di be- nessere psicofisico.
Rimane del resto facilmente comprensibile lo stato d’animo di chi improvvisamente estir- pato dalla propria famiglia, dalla propria atti- vità lavorativa, dal proprio ambiente sociale, dalle proprie abitudini e interessi, è, costretto, un determinato giorno, a varcare il portone del carcere.
L’impatto con il carcere è un momento tri- ste, doloroso, sconvolgente.
L’individuo all’ingresso viene spogliato dei suoi effetti personali e degli attributi di uomo libero.
In sostanza non c’è posto per la sua dimen- sione umana, fisica, affettiva.
Vede irrimediabilmente cadere in un attimo tutto intorno a sé.
Si sente solo, isolato dal resto del mondo, immerso in una realtà drammatica.
Inesorabilmente sopravvengono idee di ro- vina, di angoscia, di vuoto esistenziale, il senso di emarginazione dalla società, mentre predo- minano sentimenti di umiliazione per la po- sizione stessa di detenuto magari in preda al rimorso per quello che ha commesso.
A questo punto il detenuto è già un indivi- duo lacerato.
La realtà quotidiana è allucinante, piena di desolazione e impoverisce ulteriormente l’uo- mo: è un’esperienza sconcertante, un brano di vita vissuta con profonde lacerazioni psicolo- giche e che spesso abbrutisce e diventa molto spesso criminogeno.
Si spalanca così un abisso tra ciò che si era un istante prima e ciò che uno sarà dopo: una sensazione pervadente di rottura irreversibile con tutto il contesto sociale di cui si era parte integrale, con la sua realtà morale, psicologica e familiare.
Al di là delle sbarre il detenuto non è più un uomo, in quanto risulta escluso dagli spazi naturali dell’uomo.
In questa primissima fase di carcerazione, lo sconvolgimento dell’animo è totale e com- penetra gli stati più reconditi della personalità, determinando inevitabilmente una grave disto- nia ai vari processi psichici e con particolare ri- ferimento alla percezione, alla rappresentazio- ne, all’ideazione.
Il detenuto, per natura, per costituzione ac- quisita è diffidente nei confronti del medico pe- nitenziario perché lo vede imposto dall’alto, se non addirittura è portato talora ad intravedere in lui un collaboratore della stessa autorità che lo ha condannato.
Il medico dovrà di conseguenza farsi accet- tare.
La disponibilità del paziente-detenuto si instaura quanto più egli riesce a percepire la preparazione e la qualificazione del medico, la bontà delle attrezzature, la puntualità dei ser- vizi.
Si devono attuare programmi di sorveglian- za sanitaria dei propri pazienti rivolti all’indi- viduazione di eventuali fattori di rischio con particolare riferimento alle malattie cardiova- scolari, respiratorie, metaboliche, infettive, psi- chiatriche e degenerativo-osteoarticolari.
Per il medico penitenziario si delinea, per- tanto, l’esigenza di aderire ai valori, alle aspet- tative e alla disponibilità del malato, un malato particolare che ha già perso quel bene prezioso che è la libertà.
Complica maledettamente le cose un so- vraffollamento intollerabile che lede i diritti e la dignità, prefigurando un degrado strutturale che rende ancora più difficile l’esistenza quo- tidiana e che provoca inevitabilmente ulteriore marginalizzazione.
Gli stress psico-emotivi, le esasperazioni nel- le abitudini di vita carceraria creano nella popo- lazione detenuta punti di minore resistenza e condizione predisponente all’instaurarsi di ogni tipo di patologia.
L’uomo non è, non può essere una bestia da domare, un bersaglio eventuale da colpire.
Bisogna evitare di assumere atteggiamenti di distacco, modi di operare impersonali, mitiz- zando l’immagine e il tracciato.
Esiste incommensurabile in ciascun medico penitenziario la dimensione della vocazione, del riconoscimento in quelli che soffrono quan- do dolore e paura giocano un ruolo predomi- nante nella malattia del paziente: la riconoscia- mo nelle mani che stringono, nelle spalle che sostengono il peso della responsabilità, quando magari nessun altro si fa avanti. TM
Info: ceraudo.f@gmail.com
Toscana Medica 5|2015


































































































   17   18   19   20   21