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6 EDITORIALE
fichi l’atteggiamento di tutte le persone coin- volte nell’assistenza, determinando un indirizzo clinico di continuità dinamicamente evolutiva, rispettando sempre il vissuto, le credenze, la spiritualità del paziente.
È tempo di ripensare una cultura medica fondata su cure olistiche da affiancare ai trat- tamenti ordinari, commisurate all’esigenze del paziente, condivisa tra tutti gli attori coinvolti. Scelte non facili verso percorsi appropriati, evi- tando il prevalere di quel falso senso di onnipo- tenza o di sconfitta che porta alla futilità tera- peutica. Il Consiglio Sanitario Toscano così si è espresso con un documento (parere n. 97/14) che non potrà non influenzare la programma- zione regionale. “Questa proposta deve coinvol- gere tutti gli operatori che partecipano al pro- cesso di cura nelle fasi terminali della vita, costi- tuendo un momento di condivisione e un nuovo modo di trattare il malato insufficiente cronico, stimolando una diversa cultura decisionale e iniziando un percorso formativo che conduca a elaborare scelte non sempre facili verso percor- si più appropriati: alternativi a quelli intensivi, proporzionati alla prognosi e maggiormente fi- nalizzati al confort del paziente, utili per la presa in carico dei suoi familiari, coerenti con i bisogni globali valutati alla luce di una prognosi reali- stica che tenga conto sia della clinica che della globalità della persona e delle sue preferenze, senza mai precludere nuovi orizzonti di cura in rapporto a possibili modifiche del quadro clinico e alla disponibilità di nuovi mezzi di cura”.
Anche il Policlinico Gemelli ha recentemente approvato un documento di buona prassi clini- ca sui pazienti affetti da SLA terminale allo sco- po di “far emergere il miglior trattamento pos- sibile nel rispetto della persona umana nella sua integrità”, attraverso “piani terapeutici flessibili continuamente rimodulati sulle esigenze del paziente”. Il diniego a manovre invasive “può essere pienamente sostenuto da una coerente decisione medica secondo il principio della pro- porzionalità onde evitare eventuali forme di ac- canimento terapeutico”. La questione di fondo, conclude il documento,”riguarda la libertà delle scelte della persona rispetto all’accettare o non i trattamenti”. “Contra vim mortis non est medi- camen in hortis” sostiene la Scuola salernitana. Quando la medicina non modifica più il decorso naturale della malattia occorre impostare la re- lazione col paziente e i familiari in modo da ga- rantire il rispetto di ciò che ciascuno considera
la sua dignità di vita.
Una recente legge francese (17/3/2015) ha
ben precisato il diritto del paziente a rifiutare le cure e l’obbligo del medico di rispettarne la volontà e di alleviare la sofferenza fino alla se- dazione terminale. “Il medico pone in atto tutti i trattamenti sedativi per affrontare la sofferenza del malato terminale, anche se possono avere l’effetto di accorciare la vita”. “Il medico salva- guarda la dignità del morente e assicura la qua- lità della fine della sua vita.” Sono espressioni molto chiare.
Infine la Suprema Corte del Canada, con sentenza del febbraio di quest’anno, ha lega- lizzato “the physician-assisted dying”. La società sta cambiando, osserva la Corte, e presto l’au- mento della popolazione anziana, con la con- seguente incidenza di patologie croniche, porrà con forza la questione della correttezza legale e deontologica della fine della vita. Negli ultimi decenni, in alcuni paesi, questo problema è sta- to affrontato senza che si manifestasse il temuto “sentiero scivoloso”. Ormai sembra inevitabile, sostiene la Corte, considerare la morte assistita come uno standard di cura in determinate si- tuazioni, quando la richiesta del paziente nasce da una situazione intollerabile e priva di dignità. In un articolo sul New England (28,03, 2015), dedicato a questo tema, l’autore sostiene che, “per quanto esista tuttora un senso di repulsa nei confronti della morte provocata dal medico, l’incremento della terminalità nelle grandi insuf- ficienze d’organo, aumenterà assai più nella so- cietà il senso di repulsa di fronte al diniego del diritto a una morte dignitosa”.
Ormai il dibattito su questo tema investe la società in ogni parte del globo, con diversissi- mi accenti a seconda dell’ideologia religiosa prevalente. Il verso di Dino Campana “il mondo grasso l’ha scomunicata e la disprezza”, si ribal- ta di fronte a un rinnovato umanesimo medico e a pressanti esigenze sociali. Al di là del diritto delle persone a quella che ciascuno considera la propria dignità di vita, al di là del diritto del me- dico a agire secondo la sua personale coscienza, resta una questione clinica su cui meditare. L’as- sistenza alla morte è parte della cura del pazien- te? Pensiamo proprio di si, e allora dovremmo recuperare il significato etimologico del lemma “eutanasia”, cioè di “buona morte”, fine serena e meno sofferta possibile, il che, a nostro avviso, è compito umano e professionale del medico.
TM
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