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RICERCA E CLINICA 53
essere strettamente associato a quello del fo- niatra, a cui compete la valutazione della tipo- logia, stadio e gravità della disfagia, e del logo- pedista esperto in “deglutologia”, che insegne- rà al paziente, ancora in grado di alimentarsi per os, manovre e posture di compenso atte a favorire la deglutizione.
Fin dall’inizio del percorso clinico, per ogni paziente, dovrebbe essere effettuata un’accu- rata valutazione della composizione corporea attraverso la registrazione dei principali para- metri antropometrici, dei dati bioimpedenzio- metrici e calorimetrici e dovrebbero essere ac- quisiti i valori degli indicatori ematologici dello stato nutrizionale, in modo da potere elaborare un piano terapeutico personalizzato che potrà comprendere, se necessario, anche i supple- menti nutrizionali orali.
A tale proposito assume notevole impor- tanza l’esame accurato del diario alimentare, in quanto il malato di SLA, alimentandosi per os molto lentamente, tende a sopravvalutare i quantitativi assunti.
In questa fase, oltre ad individuare il pia- no nutrizionale che assicuri apporti in macro e micronutrienti atti a rispondere alle esigenze metaboliche, il nutrizionista dovrà fornire al pa- ziente precise e specifiche indicazioni sulle ca- ratteristiche fisiche (viscosità, volume, tempera- tura e acidità) che dovranno avere gli alimenti. In base al tipo e alla gravità della disfagia, infat- ti, i vari cibi dovranno essere “adattati”, frullan- doli o omogeneizzandoli in modo da renderli soffici, evitando le doppie consistenze; a que- sto scopo potranno essere utilizzati i cosiddetti addensanti, particolarmente utili, insieme alle bevande gelificate, anche per l’idratazione del paziente, in quanto permettono di trasformare l’acqua, e i liquidi in genere, in fluidi della con- sistenza di uno sciroppo, di una crema o di un budino, riducendo così il rischio di inalazione nell’albero respiratorio.
Dopo l’iniziale presa in carico, il paziente sarà inserito in un programma di follow-up nu- trizionale che prevede un monitoraggio perio- dico a frequenza programmata, salvo esigenze improvvise legate ad un aggravamento della condizioni cliniche.
Nell’ottica della “presa in carico globale” del paziente, dovrà essere attivato un percorso diagnostico-terapeutico multidisciplinare paral- lelo che coinvolga il neurologo, che potrebbe assumere il ruolo di “case manager”, il nutrizio- nista, il foniatra e lo pneumologo.
Dalla valutazione congiunta dello stato nutrizionale, della gravità della disfagia e del rischio di aspirazione ad essa correlato e del grado di compromissione della funzionalità re- spiratoria, potrà scaturire l’indicazione alla nu- trizione enterale.
Trattandosi di un trattamento a medio-lun-
go termine, l’accesso enterale più comunemen- te utilizzato è la gastrostomia eseguita per via endoscopica (PEG), mentre la digiunostomia endoscopica (PEJ) viene presa in considerazione quando sia già presente una situazione di grave paresi gastrica con ripetuti episodi di reflusso gastro-esofageo e broncopolmoniti ab ingestis.
Una valida alternativa alla PEG è la gastro- stomia radiologica (RIG) che presenta il van- taggio di potere essere posizionata in pazienti che abbiano già un significativo grado di com- promissione respiratoria, anche se richiede una più attenta gestione domiciliare in relazione al ridotto calibro della cannula gastrica.
In questa fase particolarmente delicata della malattia, molti pazienti tendono com- prensibilmente a manifestare resistenze e ti- mori che spesso causano un eccessivo ritardo nel confezionamento della gastrostomia, con conseguenti difficoltà tecniche legate al deficit respiratorio e, soprattutto, l’instaurarsi di una “malnutrizione grave” che rende molto diffici- le e lento il successivo mantenimento-recupero nutrizionale. La gastrostomia o la digiunosto- mia vengono infatti viste come una violazione difficilmente tollerabile della propria integrità corporea, un sorta di “accanimento terapeuti- co” che rappresenterebbe la tappa conclusiva del decorso della malattia.
Fermo restando il rispetto della volontà del paziente, che dovrà esprimere un “consenso in- formato” al trattamento, è preciso dovere del nutrizionista clinico fornire informazioni chia- re e circostanziate, che rendano possibile una scelta realmente consapevole, sottolineando come la nutrizione artificiale enterale sia uno strumento semplice ed efficace per continuare a combattere la propria battaglia contro la ma- lattia, una “terapia salvavita” in grado di evitare le complicanze legate alla disfagia e alla mal- nutrizione.
La scelta della miscela enterale
Non di rado i pazienti, soprattutto quelli non seguiti da un centro di riferimento di nutri- zione clinica, spinti dal desiderio di mantenere una sorta di alimentazione “naturale”, si nutro- no attraverso la gastrostomia con cibi frullati o omogeneizzati. L’uso di queste miscele naturali a preparazione estemporanea va decisamente sconsigliato, non solo per la difficoltà di quanti- ficare con precisione la quota di nutrienti som- ministrata e per l’impossibilità di assicurare nel contesto domiciliare adeguati standard igieni- ci di preparazione, ma anche per il rischio di ostruzione della sonda, che rende necessaria un’eccessiva diluizione, e per l’elevata osmola- rità, spesso causa di diarrea osmotica.
Malgrado oggi sia disponibile un’ampia Toscana Medica 9|2015


































































































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