Page 59 - Toscana Medica
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LETTERE AL DIRETTORE 59
Beppe Logi, già Primario di Anestesia e Rianimazione del Presidio Ospedaliero di Livorno e Direttore del Dipartimento di Emergenza Urgenza dell’ASL 6.
Caro Direttore,
leggendo Toscana Medica e alcuni spunti stori- ci riportati, mi è venuto in mente che qualche anno fa, ormai in pensione da tempo, stenden- do appunti sulla Rianimazione di Livorno (che fu la prima polivalente in Toscana: anni 1960) ave- vo trovato notizie sulle prime anestesie in Italia.
L’Ospedale Maggiore di Milano vanta che al suo interno sia avvenuta la prima anestesia italiana il 2 febbraio del 1847, cioè appena 5 anni dopo che negli USA il dott. Crawford Long aveva fatto le sue prime applicazioni con l’etere, pochi mesi dopo le applicazioni di Morton e ad- dirittura 2 mesi e mezzo dopo la sua comunica- zione sul Boston Medical and Surgical Journal.
Anche Dogliotti, nel suo “Trattato di Aneste- sia” del 1935, riferisce che a Torino nel 1850, il chirurgo Lorenzo Bruno usava l’etere, precedu- to dalla somministrazione di morfina.
Qualche tempo fa infine ho trovato una inte- ressante notizia a questo proposito, riportata da Giovanni Cipriani nell’articolo “Roma, Torino e Firenze 1846-1859” sul n. 1 del 2011 della Mi- scellanea Storica della Valdelsa. L’autore riferisce che l’introduzione a Firenze nel 1847 dell’ane- stesia con etere solforico da parte del “medico Carlo Ghinozzi, brillante aiuto del massimo cli- nico del tempo Maurizio Bufalini” era stata du- ramente attaccata perché ”la soppressione del dolore in interventi chirurgici fu vista come un insulto a Dio che proprio attraverso tale mezzo poteva operare le purificazione dell’anima del malato”. E lo stesso poeta Giuseppe Giusti com-
pose caustici versi proprio nei confronti del me- dico. “La polemica infuriò per qualche tempo sfiorando lo stesso Bufalini, accusato di materia- lismo” ... “ma l’evidente beneficio dell’anestesia placò gradualmente gli animi”.
Quindi anche Firenze si contenderebbe il pri- mato dell’introduzione dell’anestesia in Italia e se ci fosse qualche appassionato di buona vo- lontà potrebbe essere interessante approfondi- re, se non altro per individuare una data precisa.
Quanto alla “polemica” a Firenze di 168 anni or sono, può valer la pena ricordare un altro epi- sodio occorso 110 anni dopo.
Il toscano Piero Mazzoni (che sicuramente hai conosciuto), come segretario dell’Associa- zione di Anestesiologia, nel IX Congresso della Società tenutosi nel 1956, fu sollecitato da mol- ti colleghi perché chiedesse lumi al Papa Pio XII, su tre quesiti che riguardavano:
• “l’obbligo morale di rifiutare l’anestesia e di accettare il dolore fisico per spirito di fede”;
• se “la privazione della coscienza e dell’uso delle facoltà superiori provocata dai narcotici è compatibile con lo spirito del Vangelo”;
• se “è lecito l’uso dei narcotici per mala- ti in pericolo di morte [...] e se possono venir usati anche se l’attenuazione del dolore [...] si accompagna con l’accorciamento della vita”.
Meno male che il Papa, più intelligente di certi nostri colleghi, nell’udienza del 24 febbraio 1957, rispose con un illuminato discorso. TM
Info: pelo1935@libero.it
BEPPE LOGI
Sedare dolorem:
un precetto sempre valido
PIO XII DISCORSI DEL 1957
Risposte a tre quesiti religiosi e morali concerneti l’analgesia (24 febbraio 1957) Conclusione e risposta al terzo quesito
Riepilogando, voi Ci chiedevate: “La soppressione del dolore e della coscienza per mezzo dei narcotici (quando è richiesta da un’indicazione medica), è permessa dalla religione e dalla morale al medico e al paziente (anche all’avvicinarsi della morte e se si prevede che l’uso dei narcotici abbrevierà la vita)?”. Si dovrà rispondere: “Se non esistono altri mezzi e se, nelle date circostanze, ciò non impedisce l’adempimento di altri doveri religiosi e morali: sì”.
Come abbiamo già spiegato, l’ideale dell’eroismo cristiano non impone, almeno in modo ge- nerale, il rifiuto di una narcosi d’altronde giustificata, sia pure all’avvicinarsi della morte; tutto dipende dalle circostanze concrete. La risoluzione più perfetta e più eroica può trovarsi tanto nell’accettazione quanto nel rifiuto.
Toscana Medica 9|2015


































































































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