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QUALITÀ E PROFESSIONE 15
dei terroristi, e quasi certamente in quelli che sacrificano la loro vita in un attentato suicida, la capacità di intendere e di volere sia più o meno compromessa.
Certo dobbiamo fare un’attenta distinzione e possiamo dire che esiste una sorta di gradua- lità in fenomeni quali la credenza, la fede ed il fanatismo. Secondo Nicola Lalli (2006), psichia- tra che ha studiato questi aspetti, la credenza è uno “stato mentale che implica una conoscenza socialmente e culturalmente condivisa, quindi storicamente datata e funzionale alla conviven- za ed ad un corretto rapporto con la realtà”. Le “credenze” sono in genere accettate come possibilità e non plasmano complessivamente e totalmente la vita delle persone (credenti). La fede è invece uno stato mentale diverso, si fonda su di una fonte trascendente e non veri- ficabile, e non ammette il dubbio. Le fedi, e ci riferiamo con questo termine ad ideologie non soltanto religiose, ma anche politiche ed ideo- logiche, possono sfociare nel fanatismo, che è l’estremizzazione della fede e ne rappresenta una distorsione. Nel fanatismo esiste una cer- tezza che non può essere scalfita, né criticata, anche di fronte all’incongruenza con la realtà. Bertrand Russel ha detto “è fanatico chi pensa che qualcosa possa essere tanto importante da superare qualsiasi altra”.
È estremamente difficile ed anche riduttivo, a nostro parere, considerare i terroristi come de- gli psicotici o comunque malati di mente. Molti sono persone che sanno organizzare, pianificare attentati e morti, che hanno ruoli dirigenziali, che sanno sostenere una disciplina e sanno far- si rispettare. La classe sociale alla quale molti di questi soggetti appartengono è elevata e si tratta di persone istruite e benestanti. Secondo Daniel Pipes, storico e politologo statunitense: “sono i governi e non gli individui pronti ad im- molarsi, a rendere questo fenomeno una forza così potente. Senza il supporto degli stati gli atti di terrorismo suicida sarebbero infrequenti ed inefficaci. Gli stessi “martiri” sono vittime di ri- catto e costrizione” (Pipes D., 1986).
Secondo il filosofo Dan Sperber: “Dal punto di vista dei leader delle organizzazioni terroristi- che, utilizzare terroristi suicidi è una scelta ra- zionale, perché con risorse limitate si riesce ad ottenere il massimo effetto”. Si pensi infatti che il costo di un uomo-bomba, con un apparato esplosivo facilmente reperibile in commercio, fatto per lo più di una borsa di tela con il pla- stico, biglie e chiodi, è minimo, se si escludono le poche migliaia di dollari che vengono versate alla famiglia del suicida. Pertanto per le organiz- zazioni terroristiche si tratta di uno strumento molto più conveniente rispetto ad un attentato, che richiede l’organizzazione di una rete di col- laboratori, appoggi, spie, osservatori.
anche il contributo di Scott Atran (2003), ricer- catore del CNRS Francese, al quale sembra siano state fornite informazioni dalla CIA in merito ai contenuti degli interrogatori svolti nella prigio- ne di Guantanamo. Da tali informazioni emerge che i terroristi appartengono ad un ceto medio- alto, sono ben istruiti ed hanno un alto livello di consapevolezza sociopolitica. Pertanto l’ele- mento più efficace per il convincimento dei gio- vani terroristi sembra essere il condizionamento pressoché totale che le organizzazioni riescono ad avere su di loro.
Comunque sottolineiamo ancora una vol- ta che un giudizio clinico varia da soggetto a soggetto; comune denominatore è tuttavia una fragilità personologica che si traduce in sug- gestionabilità, sulla quale fanno presa carenze individuali e desideri quali l’appartenenza ad un gruppo, la ricerca di un ruolo e di gratifi- cazioni, oltre a possibili rivalse per torti subìti soprattutto nei sottoposti, nelle reclute e non nei capi. L’atto estremo suicidario è indice di una completa spesso illogica ed incoerente adesione ad un’idea radicale, alla “disumanizzazione”, con accettazione del sacrificio umano (degli al- tri ed il proprio) per una causa superiore: una completa ed univoca adesione a qualsiasi idea inconfutabile e talvolta con obiettivi incoerenti e contraddittori, che non preveda dubbi o alter- native, non è contemplata dal pensare umano, poiché il nostro cervello lavora invece nel senso di trovare soluzioni a complessità, a valori con- trastanti e ad insicurezze, senza scotomizzare regole di morale, di umanità e convivenza.
È anche vero che ci sono altri esempi nella storia di suicidi/sacrifici finalizzati ad un’ideolo- gia o fede. I Kamikaze giapponesi erano eredi dei samurai, educati ad un rigido codice di ono- re. Questi guerrieri compivano l’atto estremo di suicidarsi per compiere fino in fondo il loro do- vere nell’interesse della propria gente. Del resto anche tra i Greci, le madri spartane salutavano i loro figli che partivano per la guerra con la frase: “torna figlio mio, con lo scudo o sullo scudo”, intendendo dire di morire piuttosto che essere disonorato gettando via lo scudo per fuggire. Per quanto riguarda i terroristi, “quelli islamici ad esempio”, lo scopo del suicidio è esclusiva- mente distruttivo, disumano; il suicida è ridot- to ad un “oggetto-bomba”, non c’è fama, non c’è onore, ma solo il miraggio di un paradiso. I bambini vengono educati dalle madri ad ac- cettare l’eventualità di farsi saltare in aria per colpire gli infedeli. Una “bomba umana” viene forgiata sin dall’infanzia, con il reclutamento nelle scuole, gestite dalle organizzazioni terro- ristiche, dove i prescelti a diventare strumenti di distruzione e morte vengono selezionati e cre- sciuti nella cultura dell’odio.
Esiste poi il problema della gestione di si- tuazioni nelle quali può esserci la possibilità di
A questo proposito riveste grande interesse
S O M M A R I O ToscanaMedica11|2016


































































































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