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QUALITÀ E PROFESSIONE 35
Stefano Giovannoni, Professore a contratto Univ. di Firenze - Centro per l’Alta Formazione e Ricerca Translazionale
in Med. Gen. - Facoltà di Medicina e Chirurgia. MMG, convenzionato con ASL 4 – PO .Spec. in Reumatologia c/o l’Univ. di RO. Coordinatore didattico Corso di Formazione Specifica
in Medicina Generale, Regione Toscana.
STEFANO GIOVANNONI
Per un’organizzazione funzionale delle cure primarie
Il lavoro del medico di medicina generale (MMG) si basa, e ne è condizione essenziale, sul rapporto di fiducia con il cittadino assistito. Questo permette di non fornire “prestazioni”, caratteristica del rapporto specialistico e ospe- daliero, ma di dare assistenza prendendosi cura della persona e dei suoi problemi, dai momenti preventivi a quelli diagnostico/terapeutici e riabi- litativi. È un rapporto a convenzione che si inse- risce nei Livelli Essenziali e Non Essenziali di Assi- stenza, all’interno del SS Regionale e Nazionale.
Prendere atto di questa particolare e unica tipologia di assistenza è condizione necessaria se si intende ri-organizzare il piano assistenziale delle Cure Primarie (CP) a livello territoriale: più funzione che struttura; più assistenza che prestazioni. Il medico di medicina generale non ha tempo per accollarsi altre attività rispetto a quello che è chiamato a fare, perché la Medicina Generale è già al collasso, oberata come è da una sorta di implicazioni burocratiche infinite, che ru- bano tempo alla funzione assistenziale vera e pro- pria; la Medicina Generale necessita di livelli diversi e più razionali di organizzazione in un’ottica di integrazione interprofessionale.
I modelli delle case della salute della delibera regionale 117 del febbraio 2015, nelle loro varie tipologie strutturali ricalcano modelli organizzati- vi più ospedalieri che territoriali, dove si predilige una struttura unica così detta “multi professiona- le”, “ben visibile”, organizzata gerarchicamente con vari responsabili, ognuno con la sua “stan- za”, magari di “colori diversi”, dove i cittadini si recano per ottenere “servizi”. Una struttura come tanti attuali Distretti, più o meno grande secon- do i servizi che eroga, con la presenza di qualche ambulatorio di Medicina Generale e con la pa- ventata sicurezza che tale struttura che contiene più professionisti e servizi eroghi assistenza mi- gliore e induca scambi interprofessionali.
Storicamente la rete degli ambulatori dei medici di medicina generale ha sempre rappre- sentato funzionalmente il vecchio concetto di Distretto, anche se non è mai stata capita a fon- do e valorizzata proprio la diffusione capillare nel Territorio degli studi medici. Un decentra- mento funzionale che va verso il cittadino, ben lontano dall’ottica ospedalocentrica che con forza centripeta e vago senso del risparmio
tenderebbe invece ad accorpare e centralizza- re, creando anche problemi logistici di accesso spesso insuperabili (traffico veicolare, parcheg- gi, code, tempi persi, ecc.). Era così difficile far emergere e potenziare funzionalmente quelle strutture già in essere create pro- prio dai medici di medicina generale per le medicine di gruppo, che contengono studi di medici di medicina generale, pediatri, infermieri, personale di segreteria, possibilità di diagnostica di primo livello e di accesso per gli specialisti?
È quindi antistorico pensare che medici di medicina generale, che hanno costruito nel tempo la loro rete di “presidi” zonali, base del rapporto diffuso nel Territorio con i loro assisti- ti, possano accentrarsi in grandi strutture. Così come inutile funzionalmente chiedere loro di fare “qualche ora” in una CDS. L’offerta ambu- latoriale nelle CDS potrebbe rivolgersi ai giovani medici di recente convenzione? Forse, ma un assembramento di giovani medici nello stesso luogo favorirebbe il loro inserimento nel mondo lavorativo proprio della Medicina Generale, con la libera scelta da parte del cittadino, almeno fi- no a quando sarà permesso..?
Il bisogno di comunicazione a più livelli, con e fra medici di medicina generale, con e fra specialisti, con e fra infermieri ed altro personale sanitario, con l’ospedale è alla base dei percorsi di assistenza, per renderli più efficaci ed efficien- ti. La comunicazione interprofessionale è sempre stata carente, nonostante in passato deliberazio- ni regionali (L.R. n.72, settembre 1998, D.R.T. n.244 del marzo 2000, D.G.R. n. 1038 dell’otto- bre 2005) individuassero il cittadino al centro dei percorsi assistenziali con le varie figure sanitarie che comunicavano intorno a lui per la gestione del “suo” problema. Attualmente siamo in una Sanità a camere stagne, dove la comunicazione fra le figure professionali è un fatto personale, spesso legato a conoscenze e rapporti amicali, mai standardizzata in percorsi e momenti isti- tuzionali di confronto e verifiche. Questo porta sicuramente a spreco di risorse, determinato da ripetizione inutile di accertamenti diagnostici, quando il cittadino ne era già in possesso, o nuove proposte terapeutiche che non tengono conto della terapia già in atto, ecc. La mancata comunicazione è poi in buona parte responsabi-
Toscana Medica 1|2016

