Page 41 - Toscana Medica
P. 41

QUALITÀ E PROFESSIONE 41
lo sono più. Naturalmente non vanno conside- rate un onere per la persona, che deve essere libera di giovarsene o meno in base alle proprie esigenze e convinzioni. Quando esse vi siano, rivolte come sono a situazioni ipotetiche futu- re, rimarranno affidate alle collaborazione fra il medico e il fiduciario, che dovranno attualizzarle e concretizzarle in vista del miglior rispetto delle preferenze e della volontà del dichiarante nella situazione data, in una sorta di perdurante con- tinuazione della relazione terapeutica.
Nella relazione terapeutica va anche colloca- to il rifiuto di cure, che è un risvolto necessario della loro consensualità e della loro stessa ap- propriatezza, in relazione al beneficio che ne percepisce il paziente. Questi, se capace, non può non esserne l’ultimo interprete, anche là dove si tratti di cessare la lotta per il prolun- gamento della sopravvivenza, interrompendo i trattamenti in atto e rimodulando le cure in senso palliativo. Nei casi di legittimo rifiuto o di non proporzionalità delle cure – sottolinea il documento – l’astensione e l’interruzione sono condotte che adempiono a un dovere deon-
tologico e come tali devono essere sottratte a sanzione, sia civile che penale. Per converso, ove l’interruzione esiga l’intervento del medi- co e possano insorgere in ciò i presupposti per l’obiezione di coscienza, il medico potrà legit- timamente sottrarsi all’intervento, nel rispetto tuttavia del dovere deontologico di assicurare altrimenti la continuità di assistenza.
Pubblichiamo volentieri questo autorevo- le documento frutto di un ragionevole com- promesso tra persone di diverse credenze ma ugualmente consapevoli dei problemi umani che non possono essere affrontati con le ideolo- gie ma con la partecipazione sincera alla soffe- renza. Il mondo si interroga sulle conseguenze di una medicina sempre più tecnologica e meno empatica. Ripetiamo il principio inspiratore di un editoriale pubblicato di recente su questa stessa rivista: i medici debbono riaffermare il concetto che la “buona morte” è solo la parte conclusiva di una relazione umana consapevole, sincera e reciprocamente onesta.
TM
ANTONIO PANTI
La morte e la medicina
La morte è l’unica certezza della vita; come disse Bichat “la sola malattia che ha il 100% di mortalità è la vita”. Si muore in tanti modi ma oggi sempre più spesso accade di morire in un contesto sanitario, in qualche modo “sotto controllo medico”. Nonostante i cambiamenti antropologici nel rapporto dell’uomo con la morte, al di là di tutte le discussioni sulla fase terminale della vita, su come ognuno la vorreb- be vivere e sulle direttive anticipate di tratta- mento, resta il fatto che assai spesso è il medi- co, con le sue cure che spaziano dal sostegno vitale alla futilità terapeutica, che decide sulla morte. Tuttavia il medico è impegnato a soste- nere la vita, a opporsi con ogni mezzo al decor- so naturale della malattia e considera la morte una sconfitta. Anche se il codice deontologico è chiarissimo nell’indicare l’obbligo senza de- roghe di assistere il morente sedando il dolore, aiutando una fine serena, limitando i sostegni vitali al sollievo della sofferenza, specificando che la sedazione non configura atto eutanasico ma doveroso aiuto, c’è comunque una contrad- dizione tra la medicina e la morte. Questa è un irrevocabile fatto biologico (a meno di un vero “errore medico”) e quindi a rigore non si può
configurare come atto medico. Tuttavia è atto del medico l’assistenza al morente e l’accom- pagnamento non solo fisico ma psicologico e spirituale alla fine della vita.
La morte conclude la vita e spesso avviene al termine di una lunga malattia contro la quale la medicina ha impegnato tutti i suoi sofistica- tissimi mezzi. Il medico è presente fino alla fine, tuttavia la morte è come un atto medico che av- viene quasi in un tempo sospeso dell’assistenza sia sul piano clinico, lo sforzo per alleviare le sofferenze, sia sul piano umano, il tentativo di dare senso e accompagnamento. In conclusio- ne esiste una parte di medicina che riguarda ciò che accade quando ormai la medicina cu- rativa, intesa come mezzo artificiale per influire sul decorso naturale della malattia, non ha più niente da offrire. Quindi la medicina e il medi- co non sono esclusi dall’evento morte, che può avvenire senza il loro coinvolgimento, ma che altrettanto spesso è inserito in un rapporto col paziente e con i familiari, al momento del lut- to, che senz’altro rappresenta parte integrante della cura, come appare evidente dal ricono- scimento dato alle cure palliative come settore professionale e come modalità di approccio al
S O M M A R I O ToscanaMedica6|2016


































































































   39   40   41   42   43