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10 OPINIONI A CONFRONTO
lassi in ambito neonatale. Negli ospedali pe- diatrici italiani, tra cui anche il “Meyer”, è sta- to anche documentata una predilezione per le cefalosporine di terza generazione per la pro- filassi perioperatoria, comportamento assolu- tamente non condivisibile e contrario alle rac- comandazioni delle linee guida nazionali e in- ternazionali. A questo proposito devo dire che al “Meyer” è stato, negli ultimi anni, portato avanti un progetto di formazione che ha avuto come oggetto l’applicazione delle linee guida sulla profilassi perioperatoria, ottenendo una riduzione della prescrizione incongrua di pro- filassi ovvero la scelta dell’antibiotico corretto (cefalosporina di prima generazione), quando vi era invece l’indicazione alla profilassi.
Risultati non esaltanti sul consumo di anti- biotici nella realtà pediatrica italiana ospeda- liera sono il ricorso di prima linea alle cefalo- sporine di terza generazione, in particolare il ceftriaxone, nella terapia delle polmoniti di co- munità ed il largo uso dei carbapenemici (9% rispetto alla media europea del 5%). In partico- lare, i carbapenemici vengono anche utilizzati off label nei primi tre mesi di vita, fascia di età in cui il ricorso a queste classi di farmaci, so- prattutto il meropenem, non è autorizzato.
Questi dati mettono in evidenza senza om- bra di dubbio quanto lavoro ci sia ancora da fare in ambito pediatrico nel nostro Paese.
SCATIZZI - In Chirurgia le cose ormai sono piuttosto ben definite e, per fare un esempio, ormai da tempo è esattamente codificata la profilassi antibiotica preoperatoria secondo linee - guida che in Italia in molti casi sono anche più restrittive di quelle statunitensi.
In linea di massima, per interventi puliti il farmaco che usiamo in profilassi è la cefazoli- na, alla quale aggiungiamo il metronidazolo in caso di procedure a rischio infettivo maggiore.
In caso di chirurgia di superficie (ad esem- pio una ernioplastica) addirittura le nostre linee-guida non prevedono profilassi antibioti- ca preoperatoria, al contrario di quanto invece avviene negli Stati Uniti.
Ovviamente anche secondo me la collabo- razione con i colleghi infettivologi appare di fondamentale importanza ed a Prato devo dire che le cose in questo senso stanno andando ormai da anni nella giusta direzione. Proprio per questo, per fare un esempio, noi chirurghi abbiamo accettato il fatto di non essere auto- rizzati ad usare le tetracicline, se non dietro indicazione dello specialista, anche se si tratta di molecole estremamente utili nella gestione delle forme severe di sepsi addominali.
MENICHETTI - La resistenza antimicrobica riconosce due determinanti principali, la pres- sione selettiva esercitata dagli antibiotici che
può essere contenuta con la già citata anti- microbic stewardship e la diffusione crociata dei microorganismi resistenti, fenomeno so- prattutto evidente in ambito ospedaliero. Pur- troppo bisogna riconoscere che le procedure di infection control in ospedale sono ancora piuttosto carenti, spesso basate più su docu- menti teorici e di programma che su azioni concrete e di pratica applicazione.
A questo si associa poi un’altra criticità rap- presentata dalla mancanza di novità terapeuti- che significative, visto che l’industria da tempo ha depotenziato la ricerca di nuovi antibiotici a vantaggio di altre molecole più redditizie come ad esempio gli antiretrovirali. In questo senso sa- rebbero necessarie nuove regole da parte degli organismi di controllo (AIFA e EMA) oltre a nuovi incentivi, sull’esempio di quanto fatto negli Stati Uniti da parte dell’amministrazione Obama che ha reso disponibili un miliardo e duecento milio- ni di dollari per le aziende che sono tornate ad investire e a studiare nuove molecole.
Un ulteriore problema è poi rappresentato dalla carenza di nuove strategie terapeutiche legata, per così dire alla “povertà” della ricerca indipendente.
Oggi i ricercatori ricevono per lo più le committenze dalle industrie farmaceutiche e non accade più come in passato quando erano loro stessi a studiare, ideare e realizzare i pro- tocolli di ricerca proponendoli poi alle aziende.
DE GAUDIO - Un altro aspetto che vorrei sottolineare parlando di antibioticoresistenza è quello del dosaggio al quale somministria- mo gli antibiotici. I farmaci che usiamo quoti- dianamente sono stati testati quasi sempre in volontari sani che presentano risposte farma- cologiche molto diverse da quelle dei pazienti infetti o, peggio ancora, settici. Sulla scorta di questa considerazioni potrebbe essere utile impostare schemi di cura che prevedano all’i- nizio dosaggi più alti per prevenire la resisten- za, eventualmente regolando la dose in segui- to, in base all’evoluzione clinica del quadro di malattia.
Un altro aspetto da non sottovalutare è il ricorso attuale a “vecchi” farmaci (ad esempio la gentamicina) che per anni sono stati un po’ messi da parte e, una volta reintrodotti, hanno dimostrato una sorprendente efficacia su molti microorganismi con i quali per lungo tempo non avevano avuto contatto.
MENICHETTI - Il batterio è un organismo molto semplice, in grado di adattarsi anche a condizioni non propriamente favorevoli al- la sua sopravvivenza semplicemente mutan- do. Le mutazioni cromosomiche sono infatti il meccanismo classico che porta allo sviluppo delle resistenze: l’antibiotico “avvelena” una
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